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Comodini

Comodini, il mio

Sono stata troppo prolissa, ma quando sono in vena di scrivere difficilmente riesco a tenere a freno le dita. L’occasione di inaugurare Comodini è ghiotta. E chiarisco ciò che intendevo nel post di presentazione della rubrica. La prossima volta entreremo nella camera da letto di un ospite, spero già di coinvolgere qualcuno per questo mese. Ho stilato una possibile lista di blogger che potrebbero alimentare il nostro serbatoio di chiacchiere e libri. Nel frattempo vi lascio curiosare il mio comodino.

In passato sul comodino si innalzavano pile di libri come grattacieli – letture del periodo, libri a cui ero affezionata, belle copertine come Cento sonetti d’amore di Neruda. Una pila che presto era un coacervo di polvere. Non facevo in tempo a dare una parvenza di ordine, che immediatamente se ne formava altra. Sono passata alla seconda soluzione: il deserto dei tartari. Essenziale. Fazzoletti, sveglia – un vero soprammobile, la cui unica utilità è quella ti indicare la temperatura della camera –, tappi per le orecchie. Ho le orecchie sensibili, ogni rumore mi fa sobbalzare. La imperturbabilità fatta persona. Attualmente è tutto questo è chiuso nel cassetto, pronti a venire in mio soccorso. Solo ora sono arrivata ad un compromesso. Insomma ciò che potete vedere con i vostri occhi. Le lucine sono una decorazione romantica, non ho una lampada, almeno non accanto a me, poi capirete il motivo.

Dall’alto. Messa a fuoco.
La scatola da tè di Dammann Frères raccoglie ogni gingillo, ciò che sottrae spazio, e mi evita nervosismi.
Anello di radice di smeraldo acquistato su una bancarella a Monterosso. Ultimo sabato di agosto del 2013. Ultimo giorno di mare. Quel giorno al mio compagno si era sfilato in acqua il suo anello ed io giustamente per sopperire a tale perdita prontamente me ne sono regalata uno. Però indica una tappa importane, poi il verde è il mio colore preferito. Ma questa è un’altra storia.
«Gli alberi sono cresciuti», mi ha fatto notare una mia amica qualche giorno fa quando mi ha regalato questa bella spilla per il mio compleanno. È un discorso interrotto. Le avevo regalato un paio di orecchini con la stessa forma, piccoli e di metallo. Alla fine c’è stato passaggio di testimone e di parole segrete. Non rimarrà a far compagnia alle carte, ma impreziosirà il cappotto. Attendo fiduciosa il disgelo.
Sassi. Di mare. Ho cominciato a collezionarli qualche anno fa. È una caccia al tesoro sulla spiaggia di forme e colori bizzarri. L’acqua assottiglia, inganna. Solitamente con l’inchiostro registrano anniversari, sanciscono inizi, ricordano geografie. Ogni tanto ne porto qualcuno con me per maneggiare gli angoli smussati.
L’agenda aperta è riconoscibilissima, una vecchia Moleskine, che più per la sua funzione di appuntare gli impegni, contiene lunghe liste. Adoro le liste. Accostamenti di colore, libri, ricette, tè. Ho riempito quasi ogni foglio. Pensate quanti elenchi.
Il quaderno a righe Ikea conterrà il 2016, tappe meravigliose di questi 366 giorni. Anno bisestile. Non ho ancora annotato nulla, così mi ricordo che devo farlo. Imperativo categorico.
Passiamo ai libri, il cuore della rubrica. Sono libri già letti, che custodisco sul comodino per sfogliarli quando ne sento la necessità. Non leggo prima di dormire, arrivo esausta all’appuntamento con il cuscino, ogni tanto mi concedo qualche pagina.
Libri dai significati diversi. Pietre miliari e titoli divertenti.

Comodini, il mio - interno storie

Virginia è sempre Virginia. Una stanza tutta per sé elegante nell’edizione SE. Il tema della cultura-società-donna è attuale, bruciante. Di questo libro è difficile omettere una sola virgola, se lo facessi sembrerebbe un furto. Ho sottolineato anche le note. Quindi, questa Woolf è fondamentale in tutta la sua integrità.

Leggendo Etica dell’acquario di Ilaria Gasparini (pp. 29-30/62-63) ho scovato tracce della mia storia che, per fortuna, non ha risvolti noir. Quando ho riaperto il libro alla ricerca dei segni a matita a bordo pagina, ho percepito una certa distanza, quasi non mi riconoscessi in quel ritratto, mi fossi dimenticata del passato più recente. In realtà, ci sono eccome. Ho cominciato a superare quella fase opaca che dura da diversi anni. Ripiombarci è un attimo, cerco di percorrere questo sentiero con mente lucida. All’una del 1 gennaio 2016, non a mezzanotte, mi sono ripromessa che avrei fatto di tutto per mantenere la serenità dell’ultimo periodo, senza scalfirla alle prime difficoltà. Ogni promessa è un debito. Devo essere ferrea.

Era strano ritrovarsi in albergo a Pisa, e ancora più strano essere di nuovo lì, riconoscere ogni dettaglio e sentirmi allo stesso tempo così estranea. Non era la mia città, non lo era mai stata: ero arrivata troppo tardi per prendere l’accento di chi ci nasceva. Eppure non avevo mai sentito di appartenere con quell’intensità a nessun altro luogo, mentre lungo la strada per l’albergo a ogni angolo ritrovavo un ricordo sommerso. Chissà come si sentivano gli altri, i miei amici, che negli anni avevano mantenuto qualche rapporto con l’università, che non avevano cercato di fuggire come avevo provato a fare io. A pranzo, di questo non ne avevamo parlato, a loro sarebbe parso indelicato nominare la mia fuga.

Era l’univa forma in cui poteva essere visibile agli altri il segno di quegli anni, della mia ansia di scappare, degli errori che avevo fatto, del tempo che avevo privato di ogni senso, di ogni desiderio. Un marchio di colpevolezza sulla mia fronte liscia, ancora liscia. Un segno nitido e rosso come la mia bocca dipinta, senza sbavature − Massimiliano non lo baciavo mai, di giorno. […] Non smettevo di domandarmi dove iniziasse quella mia colpa che tutti vedevano.

 

Di ben altro tono e di argomenti più leggeri, due titoli che non hanno bisogno di presentazioni. Lost in translation di Ella Frances Sanders è davvero un libro da comodino. Ogni situazione ha una sua identità ben precisa da etichettare. La parola del momento è Iktsuarpok (inuit):

fra impazienza e aspettativa, è un impulso che ti spinge a uscire e a rientrare in continuazione per controllare se c’è qualcuno che compare in lontananza o spunta dietro l’angolo. Fa passare più in fretta il tempo? Può darsi.

L’attesa di bruciare le tappe per realizzare i sogni soprattutto, sento un’energia nuova. Non so come spiegarvi. Ma aspetto anche una persona a me molto cara, è questione di giorni e ore, che sembrano rallentare.

Rodari, Gianni. Filastrocche in cielo e in terra è il primo libro di quella collana Einaudi dedicata allo scrittore che ho intenzione di collezionare ed esporre sullo scaffale della libreria.

Questi versi, Il calamaio, sono un tributo alle parole, ai libri, ai chi scrive.

Che belle parole
se si potesse scrivere
con un raggio di sole.

Che parole d’argento
se si potesse scrivere
con un filo di vento.

Ma in fondo al calamaio
c’è un tesoro nascosto
e chi lo pesca scriverà parole
d’oro
col più nero inchiostro.