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Comodini

Comodini – Impressions chosen from another time

Manuela che si firma Ophelinha Pequena è l’anima sognante di Impressions chosen from another time, blog che parla di letteratura, poesie, libri. L’ho conosciuta in uno di questi circoli letterari virtuali, scambio di opinioni e sentimenti, di letture e tracce di vita.  Ama smisuratamente Londra e il mare, due elementi che le mancano molto. Potrei definirla una Jane Austen contemporanea, impegnata a sorbire tazze di tè e ascoltare Leonard Cohen, ma  il suo blog nasce sotto il nume tutelare di Sylvia Plath.
Ecco il suo comodino.

Se ogni comodino raccontasse una storia, il mio rivelerebbe che sono disordinata e esageratamente sentimentale. Non butto niente, specie quando torno da un viaggio: ogni scontrino, ogni biglietto della metro, ogni mappa a brandelli è ancorata a un ricordo, e non sono mai brava a lasciarlo andare. Di conseguenza, il cassetto del mio comodino è stato ribattezzato “il buco nero”: contiene infinite boccette di spray nasale, tubetti di crema per le mani e balsamo per le labbra, quaderni, penne e matite, foglietti di carta con scarabocchi di pensieri e pezzi di poesie e, ovviamente, libri.

Sul mio comodino ci sono pezzetti delle cose che amo: un quaderno con la copertina di Londra, un altro nel quale annoto le mie letture e i brani che mi colpiscono particolarmente, un paio di libri di poesie, perché leggere dei versi prima di addormentarsi alleggerisce l’anima dalla confusione delle giornate, la mia lettura in corso, il mio Kindle, rigorosamente rosa (sono una girly girl e me ne vanto).
E ci sono fazzoletti. Infiniti fazzoletti, come infiniti sono i miei raffreddori e infinita la mia distrazione celestiale, che me li fa perdere in continuazione. Ci sono post-it, elastici per i capelli, la scatola dei miei odiati occhiali (ogni volta che li inforco, continuo a sentirmi la bambina di terza elementare con l’apparecchio ai denti e le trecce che tutti chiamano la maestrina. Ogni volta che li inforco, mi sembra di essere nella canzone Piccola mela  di De Gregori, con la maestrina che recita Omero ogni mattina e ama cantare. Ho reso l’idea?. C’è la maschera per la notte e i tappi per le orecchie, perché soffro di insonnia e la luce e il rumore sono miei nemici giurati, di notte (il rumore sempre, in realtà).

Nell’impossibilità di raccontare (e fotografare, soprattutto) il mio comodino col disordine discreto dentro il cassetto, per parafrasare Faber, ho cercato di mettere in ordine cose e ricordi e di lasciarvi lo stretto essenziale. Un vassoietto bianco e azzurro con uno slogan che è insieme un regalo e un augurio (Dream it, wish it, do it), essenziale per un’eterna sognatrice insicura come me, con all’interno gli oggetti di cui non posso fare a meno la sera prima di addormentarmi e la mattina, all’odiato suono della sveglia (non sono una persona mattiniera, anzi). Una scatolina di Tiffany in cui ripongo anelli e collanina prima di addormentarmi. L’agenda di Londra. Un paio di libri.
Per iniziare, la mia lettura in corso,
Hemingway in Love – His own story, di A.E. Hotchner. È un memoir che andrebbe tradotto anche in italiano, perché è davvero bello: Hotch, eterno amico di Hemingway, raccoglie le riflessioni e i rimpianti del cuore di un Ernest già gravemente indebolito dalla depressione, dalle manie di persecuzione, dal desiderio di morte. Ernest racconta all’amico l’amore della sua vita: quello per la prima moglie, Hadley, culminato disastrosamente nel tradimento con Pauline Pfeiffer (che sarebbe diventata la sua seconda moglie) e un sofferto divorzio. Quello che si racconta a un Hotch è un Ernest molto diverso dal Papa sicuro di sé e apparentemente invincibile: l’uomo che ha raccontato magistralmente la morte in Addio alle armi e Per chi suona la campana si spoglia dei suoi successi e delle sue certezze per rivelarsi nella nuda semplicità di essere umano che non è riuscito a capire l’amore, quello vero.
Di seguito, una raccolta di Sylvia Plath,
Tutte le poesie, nella traduzione di Anna Ravano, edito da Mondadori. Amo la Plath, le sue infinite contraddizioni, la sua sete di vita e di amore, la sua difficoltà a stare al mondo, le sue sfaccettature. Mi rispecchio nella Plath delle lettere e dei diari, ma mi piace cercare la sua voce più vera, più nascosta nelle poesie: piccoli capolavori stilistici, curati fino al parossismo, traboccanti della sua natura votata alla grandezza, all’irrequietezza, all’infelicità.
Una delle mie preferite è Lettera d’amore, di cui riporto la prima strofa di seguito:

Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov’ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po’ col piede, no –
e a lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l’azzurro, o le stelle.

Il prossimo libro è una raccolta di lettere, un’altra delle mie passioni. Si tratta de L’amata – Lettere di e a Elsa Morante, pubblicato da Einaudi e acquistato a Bologna presso la Libreria delle Donne in un pomeriggio di sole, insieme alla mia amica Valentina di Peek A Book. Daniele Morante, nipote di Elsa e curatore della raccolta, ha selezionato seicento lettere, grazie alle quali è possibile mettere insieme i tasselli della corrispondenza della scrittrice con gli interlocutori che le stanno più a cuore, Moravia in primis. L’estratto che vi propongo di seguito è tratto proprio da una missiva di Elsa al suo Alberto, col quale ha intrattenuto un lungo, complesso rapporto.

Caro Alberto –
ho un tale desiderio di parlarti ogni momento, che dovrei sempre scriverti. Ma questo non è possibile come non sono possibili tante altre cose. E poi se ti scrivessi sempre, tu finiresti per non leggere nemmeno più le mie lettere per il tuo carattere che ti fa sembrare inutili le cose che hai. Ma forse mi sbaglio e malgrado tutto non ti capisco abbastanza.
Questo è uno dei miei rimorsi, e il più grande di tutti è che non mi riesce di essere per te quello che vorrei. (….) Vorrei esserti così vicina che tu te ne accorgessi e non andassi continuamente via da me come hai fatto finora. Vorrei essere un bene per te, e per questo rinuncerei a me stessa e a tutto quello che mi riguarda. Tutto è molto chiaro e semplice ma ancora mi sembra di non averlo detto come si dovrebbe.

Dalle parole appassionate di Elsa Morante passiamo ai versi infuocati di un’altra donna, Patrizia Valduga. La sua Lezione d’amore, pubblicata da Einaudi, trabocca di un desiderio irruente e urgente, di una sensualità appassionata e indiscreta, in una successione di immagini che danno le vertigini a guardarci dentro.

Cos’è l’amore che mi mandi intorno?
Libido narcisistica
con tanto di biglietto di ritorno.
Cosa farfugli di fusione e mistica?
Ochetta che s’impanca…
L’amore è in ciò che manca, è l’io che manca.

L’ultimo oggetto sul mio comodino, ma non in ordine di importanza, è il mio Ipod, pieno delle canzoni che fanno da colonna sonora alle mie giornate e alle mie letture: Joni Mitchell, Leonard Cohen, The Smiths, i Radiohead, Simon&Garfunkel, Bruce Springsteen. Approfitto di una delle mie canzoni del buongiorno per salutarvi, e ringraziare Marina dell’ospitalità: All I Want di Joni Mitchell.

I want to be strong I want to laugh along
I want to belong to the living
Alive, alive, I want to get up and jive
I want to wreck my stockings in some juke box dive
Do you want – do you want – do you want to dance with me baby
Do you want to take a chance
Well, come on