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Diario di bordo

Diario di bordo – Ostuni è bianca

Ci sono il bianco delle architetture, il verde cupo degli ulivi in fiore e della primavera, l’azzurro di un cielo terso in una fortunata giornata sgombra di malumori.
All’inizio della Valle d’Itria, accanto all’osannato Salento, si profilano le città bianche, di cui Ostuni detiene il titolo.
La strada che dalla provincia di Brindisi, mio luogo di soggiorno e partenza, scorre verso questa destinazione è un rigoglio di paesaggi, una terra che diviene sempre più rossa e si ricompone intorno ai giardini campestri. Perdersi a caso nelle campagne tra trulli dismessi o che fieri si elevano sulla campagna circostante prima di lasciar volare via questo angolo di Puglia.

Diario di bordo - Ostuni è bianca - interno storie.jpg

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Ostuni reca in sorte anche il mare che si prostra ai suoi piedi. E quasi non sembra di percepirlo soprattutto se l’orizzonte è velato di foschia, per non turbare tutto l’incanto bianco. Ma quassù l’Adriatico porta vento e salsedine e in qualche modo si sente.
E giù tra i dirupi i capperi fanno capolino tra le rocce, le margherite gialle sovrastano e macchiano i prati.

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Tra i vicoli stretti, abitazioni alte e imperfette che seguono una mappatura del tutto svincolata dai geometrici piani regolatori, c’è una cittadina che sonnecchia. A inizio maggio è pigra di visitatori, comincia ad apparecchiarsi per l’imminente stagione – al Sud non significa altro che estate e lavoro –, con calce, qualche accessorio di paglia e i sandali in cuoio per stare comodi.
Luce e ombre. Il sole moltiplica i dettagli, il fresco si insinua tra le stradine. Un vociare curioso si perde da una finestra a un’altra.
Piazza della libertà è una scacchiera ancora priva delle sue pedine, persino a mezzogiorno, con gli odori delle cucine e i bar pronti a servire gli aperitivi.

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Per l’occasione letto un libro di Joseph Roth, Le città bianche (Adelphi) che racconta però quelle provenzali: con la Puglia si ravvisano i colori netti e certe occasioni d’incontro. Si trova, dunque, una chiave per aprire quella porta azzurra, che viene anche indicata su Google maps, dove tutti ci vanno, avvistata per caso dieci anni fa, soggetto d’onore di una fotografa americana. Erano altri tempi, gli stranieri e gli italiani ancora non avevano scoperto tante cose.
Dietro quella porta chissà cosa ci sarà.

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