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Diario di bordo

Diario di bordo – Siena e Val d’Orcia

Sono trascorsi esattamente due anni dall’ultima tappa di Diario di bordo, nonostante la pandemia e le dovute precauzioni, sono riuscita a spostarmi per la penisola. Non so perché non abbia ripreso in quei casi questa rubrica, nonostante abbia raggiunto, ancora una volta, le Marche, l’Umbria e San Gimignano.

Dunque, ricomincio dalla Toscana, Siena e dalle sue Terre.

Racconto subito il ricordo più bello: la libreria Piccolomini, una camera della Cattedrale di Santa Maria Assunta (che all’esterno mi ricorda il duomo di Orvieto) – imperante in bicromia bianca e nera –, con gli affreschi minuti e ricchi di Pinturicchio dedicati alla vita del cardinale Enea Silvio Piccolomini, impreziosendo uno spazio che ha ospitato l’enorme patrimonio librario del committente. Ne sono testimonianza i manoscritti esposti nelle teche lungo tutto il perimetro.

Per non perdere nulla ci sono entrata due volte. E sempre mi balza gli occhi.

Sempre nella cattedrale, in una piccola cappella adiacente, si ammira San Giovanni Battista di Donatello.

Elenco quel che non ho apprezzato, mi ha indispettita.

C’è una grande confusione nel prenotare i biglietti dal sito Opera Duomo, bisogna fare attenzione alle sigle dei cumulativi, alle date di scoperchiatura dell’immenso pavimento. Sapevo già che non l’avrei visto. E quindi, conviene acquistarli sul posto.

L’omonimo museo ha sede in quel che avrebbe dovuto essere il duomo, progetto ma mai terminato, la cui visita si fa estenuante.

L’attesa – per motivi di assembramenti – è mal gestita a cominciare dalla fila esterna in buona parte sotto il sole. Per salire al Facciatone incompiuto si sosta tra un piano e l’altro (sono quattro), quasi “intrappolati” per due ore buone nei momenti di affollamento. Nonostante il museo abbia una sua storia, una collezione artistica, queste misure fanno perdere di vista il contesto per il solo obiettivo di affacciarsi sulla città – meravigliosa –, che in qualche modo ripaga, ma non giustifica la disorganizzazione.

A tal proposito la salita alla Torre del Mangia al Palazzo Pubblico procede per fasce orarie, non si rischia quanto sopra. Consiglio di ripiegare su quest’ultimo se si vuol vedere la città dall’alto.

Sempre in piazza si trova Santa Maria della Scala, uno dei più antichi ospedali d’Europa, (all’interno ospita anche il Museo d’arte dedicato ai bambini), che è il racconto in qualche modo della storia di Siena fino alle fondamenta. E non è una metafora.

Piazza del Campo, o meglio Il Campo, di terracotta e bagliori bianchi, con la sua forma a conchiglia, immediatamente rimanda al Palio che ho sempre visto in televisione. Come Piazza Unità d’Italia a Trieste, ha una sua unicità.

Svettano la Torre del Mangia con il Campanone – di fattura seicentesca rispetto al complesso architettonico medievale, suona per i momenti sociali e civici più importanti –, e accanto il Palazzo Pubblico ha sempre mantenuto la stessa funzione: ospitare il comune, con annesso il Museo civico, che riporta ai fasti del tempo. La grande Loggia dei Nove si dispone verso San Domenico e l’Orto de’ Pecci.

Nei giorni in cui sono stata mi è stata concessa la giusta misura che in altri periodi non avrei trovato, il gusto di mettere piede in cittadina vivace dentro e fuori i palazzi.

Appena lasci la città si apre quel paesaggio che noto, con i declivi sinuosi e una costellazione di borghi, che permette di confezionare un viaggio in relazione al tempo e all’ispirazione, compresi i numerosi sentieri che tracciano la Via Francigena.

Ad agosto è ocra di stoppie e rivitalizzato dai cipressi solitari o che merlettano le lunghe strade. Si inasprisce in prossimità delle Crete, profili che contrastano con le linee dolci. Mentre i vigneti si ammucchiano verso Montalcino e Montepulciano.

Niente è scomposto, si comprende come quanto l’occhio osserva sia diventato un marchio, anche identitario e territoriale. Davanti si dispiega tutta la Val d’Orcia.

Amo i paesaggi minimi, poco affollati, e i borghi sono quasi una naturale corrispondenza, in cui spesso ci lascio il cuore a dispetto delle città. È una conversione lenta, che ho avuto inizio solo qualche anno addietro.

In una torrida domenica ferragostana che avrei creduto solitaria, sono giunta a San Quirico, con le sue mura, gli Horti Leonini, progettati da Diomede Leoni nel 1540, giardino all’italiana.

Le strade polverose portano ai Cipressi di San Quirico e la Cappella della Madonna di Vitaleta, punti di sosta per scattare fotografie che inevitabilmente finiranno sui social, spesso come soggetto in secondo piano.

Anche Bagno Vignoni sorride, con l’enorme piscina in Piazza delle sorgenti sembra quasi un paese marino, sede termale fin dall’antichità. L’acqua scorga proprio lì a 49 gradi. Intorno brulicano negozietti, ristoranti, una libreria. Cercare la frescura sotto la loggia e osservare la vita intorno.

E se avete tempo di sostare, il consiglio è di mettere nello zaino il costume, per concedervi un bagno, sotto al paese, al Parco dei Mulini.

E poi sul finire della giornata c’è la Pienza di Zeffirelli e la cui storia è legata al quel Piccolomini della Libreria senese, dalla struttura quattrocentesca. In tardo pomeriggio è piacevole gironzolare per i vicoli, allontanarsi dai più battuti, perdere nelle piazzette. E non si va via senza il pecorino.

Con la sua turbolenta storia dell’Abbazia cistercense di San Galgano è un unicum nella storia locale. Intorno le mura, sopra il cielo azzurro del mattino. E in qualche modo ti disarma, ti invita a meditare. La struttura è monumentale, da riempire con l’immaginazione e gli echi dei tempi che furono.

Poi un sentiero porta all’Eremo di Montesiepi, la cui spada nella roccia e altre memorie raccontano di Galgano.

È l’ultima tappa di quattro giorni toscani.