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Fuori dai libri

11 gennaio

Avrei dovuto iniziare il 2017 con questo post e invece, presa dall’esuberanza, ho esordito con un’entrata in scena da protagonista e ho aspettato a celebrare il primo anniversario di interno storie (vale ancora il minuscolo). Quest’anno, conseguenza del 2016 bisestile, l’11 gennaio è traghettato al mercoledì, una festa a metà. Più che caramelle e coriandoli, o un bilancio di ciò che è appena trascorso, si profila un discorso snello.

Prendo in spunto da una serie di articoli pubblicati nel numero 87 di «IL», L’anno che vorrei, per stilare il mio elenco di buoni propositi. Li chiamerei, per sfuggire alla trappola dell’impegno, progetti e speranze. Poi se riuscirò a mantenere la parola data ben venga, altrimenti continuerò a rinnovarli anno dopo anno:

  • leggere un classico al mese o ogni due mese, moderno o contemporaneo, preferibilmente italiano. Do troppa attenzione alle ultime uscite e relego le pietre miliari della letteratura a l periodo estivo. Li vorrei recuperare per un percorso intellettuale più ricco, anche per ribadire soprattutto che un libro non ha una scadenza come molti editori credono, così troppo attenti alle novità, dimenticando la storia del proprio catalogo. Su tutti ho programma gli Adelphi, Einaudi (in particolare Mario Rigoni Stern, ultima infatuazione), Minimum fax  e una certa Joan Didion;

 

  • ancora sui libri. Qualità e minore quantità, comprese le distrazioni – telefono e internet: che io legga 70 o 23 libri di certo non contribuirà né a salvare l’editoria sull’orlo di un buco nero, né a sollevare le drammatiche statistiche annuali sulla mediocre attitudine degli italiani verso la lettura. È una promessa che mi faccio ogni anno ma che difficilmente assecondo, ma confido nella mia buona volontà;

 

  • che si estinguessero, come i dinosauri, certe espressioni che ritrovo spalmate qua e là, quasi fossero versi di Petrarca “tal dei tali, ne abbiamo?” Ma chi inventa ‘sti obbrobri? E soprattutto davvero c’è gente che assorbe (per moda) questo sfacelo della lingua italiana? Non capisco se seguire il gregge apporti nuovo lustro alla persona. Sull’uso spropositato e fuori contesto dell’inglese non mi esprimo, è sottinteso;

 

  • rimanendo in campo linguistico, una questione personale: limitare al minimo l’uso degli avverbi con suffisso -mente. A volte credo di avere la malattia di Cetto La Qualunque. Aiuto;

 

  • e infine, un augurio. A chi scrive di libri che abbia finalmente la sua rilevanza, un giusto riconoscimento, per non essere considerato uno spot a tempo sull’imminente uscita di un libro. Rinnovo la polemica che aveva segnato la chiusura della mia rubrica, Il venerdì in libreria. È pur vero che un blog non è un lavoro, almeno qui in Italia e in determinati campi, ma molte case editrici hanno comportamenti contraddittori. Se pensano che non abbiamo un minimo di competenze e passione, per favore non citateci nei vostri tweet, continuate a consolarvi con la stampa nazionale, le novelle firme con scie di adepti, i quarti d’ora televisivi.

 

Detto ciò, buon inizio e pace interiore

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