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Fuori dai libri

La Biblioteca del bosco

Quando si reca in Spagna, uno dei resoconti di viaggio in Le antiche vie (Einaudi), Robert Macfarlane incontra, dopo una lunga corrispondenza, Miguel Angel Blanco, custode e fondatore della Biblioteca del bosco.
Non è una storia fantastica, la biblioteca si trova a Madrid, ed è sempre in fermento. Gli scaffali sono pieni i libri-scatola: oggetti bizzarri, mistici. Il bosco è il punto di partenza di questa bella avventura: cammino-sentieri-elementi naturali-libro trovano un dialogo, quasi fosse una catena di montaggio naturale.
Ciò che scrive Macfarlane non una mera cronaca, ma un racconto con una dimensione narrativa intima. Ecco perché ho lasciato spazio alle sue parole per parlarvi della Biblioteca del bosco.

Inciampo in queste pagine, Radici, e le rileggo più volte. Sono pagine curiose. E hanno a che fare con gli alberi.

 

– Scelga tre libri dalla biblioteca, – disse Miguel gesticolando nella stanza calda. – Il primo le dirà del suo passato, il secondo sa del suo presente e l’ultimo vedrà nel suo futuro.
In un seminterrato a Madrid: le pareti coperte di scaffali, da cima a fondo. Sopra gli scaffali: centinaia di scatole di legno di dimensioni varie, da stretti portasigari a piccoli forzieri. Le scatole erano tutte aperte dalla parte rivolta all’esterno, e la bocca aperta di ogni scatola portava inciso un numero di identificazione. Da ogni bocca spuntava il liscio dorso telato di quello che sembrava essere un libro, anche se in qualche caso si trattava di dorsi straordinariamente alti, come mai avevo visto in vita mia. Nelle scatole erano stati praticati dei fori in modo che i libri potessero essere afferrati e fatti scivolare fuori, come se uno potesse estrarre un mattone da un muro. Le coste dei libri non recavano scritte ed erano di svariati colori: arancioni, morate, grigio-brune, nere, scarlatte. Il risultato finale era un barocco post-moderno: colori stile Beaubourg per una grande Wunderkammer.
– Non ci stia troppo a pensare, – suggerì con un sorriso Elena, la moglie di Miguel, – tanto saranno i libri a scegliere lei, non il contrario.
La biblioteca di Miguel Angel Blanco non è una biblioteca come le altre. Non è organizzata per settori disciplinari e soggetti, non si percorre seguendo la Classificazione decimale Dewey. Il suo nome completo è Biblioteca del Bosque, «Biblioteca del bosco». La sua formazione finora è durata un quarto di secolo e l’ultimo conteggio ha attestato la presenza di 1100 libri, sebbene i libri in questione non siano soltanto libri, ma anche reliquiari. Ogni libro documenta un viaggio a piedi e contiene gli oggetti naturali e le sostanze raccolte durante quel preciso viaggio: alghe marine, pelli di serpente, scaglie di mica, cristalli di quarzo, semi galleggianti, un’ala di starna, cuscini di muschio, selci lavorate, cubi di pirite, pollini, resine, cupole di ghianda, foglie di leccio, di faggio, di olmo. Nei lunghi anni della sua costruzione la biblioteca, crescendo in volume, ha conquistato nuovi spazi. Attualmente occupa l’intero piano terra e il seminterrato di un condominio nella parte Nord di Madrid. Entrare nelle sue stanze è come entrare nelle pagine di un racconto di Jorge Luis Borges: una sorta di incrocio tra La biblioteca di Babele e Il giardino dei sentieri che si biforcano.
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– Ah! – esclamò [Miguel] scambiando un’occhiata con la moglie, – La máschera de Henry Moore! – Poi portò il libro su una scrivania, lo sistemò sotto il cono di luce di un’Anglepoise e aprì la copertina. Lì per lì dava l’idea di un libro normale.
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La Biblioteca del bosco deve la sua esistenza alla bufera di neve. Tra il 30 dicembre del 1984 e il giorno di capodanno del 1985 una violenta tempesta invernale spazzò la sierra de Guadarrama, una catena montuosa di granito e gneiss che taglia da nord-est a sud-ovest l’altopiano di Castiglia, separando Madrid (a sud) da Segovia (a nord). Migliaia di pini silvestri che ricoprivano i versanti della sierra furono abbattuti dalla furia degli elementi. In quei giorni burrascosi Miguel era rimasto isolato nella sua casetta nella valle della Fuenfría, nel settore centro-meridionale della sierra. Quando alla fine la tempesta si placò e cominciò il disgelo, Miguel uscì per una passeggiata nella valle lungo il sentiero che conosceva bene, ma quello che incontrò fu un mondo nuovo: cumuli di neve alti quattro metri, crateri e ceppi di radici nelle zone dove gli alberi si erano schiantati, radure inattese. Continuò la marcia, raccogliendo degli oggetti che trovava sul cammino: rami di pino, resina, pigne, cortecce arricciate, una pedina di dama nera e una pedina di dama bianca. Tornato a casa, mise gli oggetti raccolti in una scatola di pino, appose alla scatola un coperchio di vetro, sigillò la vetrina con del catrame, legò con un nastro alcune pagine alla scatola e avvolse il tutto in una copertina cartonata.
Nacque così il primo libro della biblioteca. Miguel intitolò questo originale libro-scatola Deshielo «Disgelo», e da quella fonte sarebbe scaturito un lungo torrente di opere nuove. Nei criteri di fondo il metodo di costruzione è rimasto inalterato. Tutti i libri-scatola di Miguel contengono oggetti raccolti nelle sue passeggiate: frutto di incontro casuali o di ricerche volute.
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– Sotto con il presente adesso! Si dia voce all’oracolo! – mi incoraggiò Miguel. Scelsi una scatola più grande, foderata di tela: la numero 588. La aprii sulla scrivania, nel cono di luce. Sulla pagina del titolo si leggeva: Zarzamora virgen. Ne sfogliai le pagine e arrivai al vetro. Il fondo della scatola era coperta da una una sostanza coagulata di colore giallo, simile a grasso congelato. Dal grasso spuntavano trenta o forse quaranta spine curve, come pinne di squali immersi in un mare lipidico. La composizione, al pari di della scatola precedente, assaliva lo sguardo, tenebrosa e aggressiva, irresistibile e oscena al tempo stesso.
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Il concetto di percorso è il principio vitale della biblioteca. «Ogni mio libro, – spiegava Miguel, – registra e documenta un itinerario concreto ma anche un camino interior, un cammino interiore».
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– Forza, adesso non resta che il suo futuro! – stabilì Elena. Scelsi il numero 818. Si intitolava Pizarras, Espejos de las Alpes, «Ardesia, specchi delle Alpi», ed era il più convenzionalmente attraente dei tre libri. Mi faceva piacere dopo le sporgenze e le spigolosità inquietanti dei primi due. Le pagine di apertura erano sparse di trecce di alghe marine. Il libro ricordava un’escursione sulle Alpi nel 2001, e giocava con il fatto che le sommità delle vette alpine furono un tempo fondali marini: i coccoliti rappresentati sulla carta alludevano a questa conversione del subacqueo al celestiale, occorsa nel tempo profondo.
Esplorai la biblioteca per un altro paio d’ore. Fuori il giorno scorreva. Dagli alberi vicini si sollevò il rumore delle cicale. Elena e Miguel mi guardavano seduti, chiacchierando a voce bassa. Avevano visto molte altre volte la magia della biblioteca all’opera sui visitatori.
L’ultima scatola che aprii si intitolava Luz eterna, «Luce eterna». Era strabiliantemente bella. L’interno del libro era coperto da uno strato di foglia d’oro e da uno strato di resina di pino raccolta da un albero di Guadarrama, una resina che aveva la lucentezza del miele. L’oro funzionava come un tapetum lucidum di un occhio animale, duplicando il flusso di luce che attraversava la resina. E se l’oro rifletteva, la resina magnificava, in modo tale che la scatola sembrava illuminare la stanza buia. Chiusi il libro, come si spegne una lampada premendo un interruttore, e uscimmo dalla libreria.

Le antiche vie di Rober Macfarlane, Einaudi, 2013