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Le mie letture

Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie

Mi sono presa qualche giorno in più prima di scrivere qualcosa che somigliasse a una recensione. I libri di Adichie non sono una passeggiata, sono piuttosto corposi. Non lasciatevi spaventare dalla mole, vi consiglio ogni suo scritto senza girarci intorno.

Americanah, il titolo di oggi, non avrà il respiro epico di Metà di un sole giallo ma non per questo non è degno di nota. La vicenda, che abbraccia la metà degli anni Novanta e si protrae fino ai primi del Duemila, ha quella dimensione contemporanea che la rende più vicina a noi. L’architettura del romanzo è più semplice rispetto al precedente, tuttavia in queste pagine viene affrontato un problema delicato, quello razziale. Nero è il colore della pelle dell’emigrato, dello schiavo, del musulmano: tre declinazioni del medesimo termine. Americanah analizza ciò che significa essere neri in Africa, Stati Uniti e Europa.

Ifemulu ha appena ottenuto una borsa di studio per Princeton e il suo blog, Razzabuglio, è seguito con successo, quando decide di tornare in patria. Il suo ultimo post spiega la necessità di un cambiamento di vita: tornare in Nigeria significa afferrare ciò che avrebbe potuto essere.
«Americanah, un termine rivestito di allegria, con la quarta sillaba allungata»: è l’appellativo attribuito a chi torna a casa dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti, di chi finge di non capire più il dialetto locale, di chi aggiunge una r strascicata alla fine di ogni parola inglese. È il timore di Ifemelu, di portarsi dietro questa etichetta, quando lascia e rientra in Nigeria.
Ma il timore più grande sarà lo stordimento, «la vertiginosa sensazione di cadere nel familiare estraneo». Il ritorno è il tentativo per riconciliarsi con il passato, per riscoprire Lagos. Questo pensa quando trascorre sei ore per farsi intrecciare i capelli in un salone del New Jersey.

La copertina dell’edizione keniota suggerisce una chiave di lettura importante. Oltre al colore della pelle, l’angoscia della ragazza passa anche attraverso i capelli. Sua zia scioglie le treccine e liscia i capelli per presentarsi ai colloqui. Negli ambienti della middle class, le waves fanno da padrone. Anche Ifemelu non si sottrae a tutte le pratiche per renderli docili prima di decidere una volta per tutte di dare libertà ai suoi capelli, di non tormentarli con strani impacchi e con tagli drastici. Un’acconciatura afro: «ti sei mai chiesa come fai a piacergli con quell’aria da donna della giungla?». Eppure, la ragazza comincia a riappropriarsi delle proprie origini e della propria persona.

L’America maschera dietro falsa benevolenza i retaggi della Storia recente, fatta di segregazione e lotte ed elegge Barack Obama, forse per far pace con la propria coscienza. L’America ti trasforma. E lo sa bene zia Uju diventata una persona prodiga di scuse, attenta ad adattare la propria alimentazione ai cibi in offerta. Ma Ifemelu quell’America agiata e della frutta insipida non è riuscita a farla penetrare nella pelle, ma si porta dietro il conforto della possibilità così come lo svilente confronto che è passato attraverso la pelle e l’inadeguato inglese.
Scrive la ragazza sul suo blog: «Se usate il color carne nella biancheria intima e nei cerotti, sapete già che non sarà intonato alla vostra pelle?». Certo, questioni di poco conto se paragonate agli episodi di cui la stessa blogger e altri sono vittime dei pregiudizi.
La scrittrice è molto brava a portare sulla pagine queste contraddizioni così come il conflitto che si genera tra africani e afroamericani, quel non riconoscersi in quel dolore comune.
Blaine, il docente universitario con il quale Ifemelu ha una relazione, la rimprovera di essere “comoda” per la mancanza di fervore e convinzione: per la sua africanità non abbastanza infuriata perché è africana e non afroamericana. Perciò correggerà il sottotitolo del suo blog – varie osservazioni sui Neri Americani (un tempo noti come negri) da parte di una Nera Non Americana – per sottolineare l’esclusione e distinguere, secondo Blaine, un punto di vista privilegiato.
Quando Ifemelu arriva durante l’estate a Manhattan, l’America è ancora da scoprire, è dietro l’angolo. Questo è quello che scrive a Obinze, il ragazzo con cui sta da tempo.
Le difficoltà incontrate sono molte, soprattutto economiche: la ragazza, in preda alla disperazione, compirà un gesto drammatico che la disgusterà e l’allontanerà da Obinze. La distanza fisica e mentale, che si allungherà con il tempo, porterà Ifemelu allo sconforto e Obinze verso nuove rotte, a respirare un’aria che «aveva l’odore della paura dei rifugiati» e a festeggiare un compleanno non suo.
La storia d’amore tra i due giovani è un pretesto per narrare delle importanti argomenti di solitudine, razza e identità. Entrambi proveranno sulla propria pelle le umiliazioni e il disagio di essere neri e, comprenderanno che quella versione romanzata ed edulcorata dell’Occidente è solo una chimera.
«Scendendo da quell’aereo a Lagos è come se avessi smesso di essere nera»: bentornata a casa, Ifemelu.
Titolo: Americanah
Autore: Chimamanda Ngozi Adichie
Editore: Einaudi
Pagine: 459
Anno di pubblicazione: 2014
EAN: 9788806201012
Prezzo di copertina/ebook: € 21,00 – € 10,99