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Le mie letture

Il libro del mare di Morten A. Strøksnes

Avrei dovuto leggerlo sulla spiaggia o per lo meno davanti un orizzonte blu molto prossimo ma ciò avrebbe significato rimandare, pensare al ritorno a casa. In queste giornate dense di primavera in cui il profumo di tiglio, a momenti si confonde con il gelsomino, si fa strada tra la calca assordante della città. Qui mi trovo in una sera mite di giugno a chiudere l’ultima pagina del Libro del mare.

Fu in una sera come questa, due anni fa, che Hugo mi parlò per la prima volta dello squalo della Groenlandia. Suo padre andava a caccia di balene da quando aveva otto anni, e gli aveva raccontato di aver visto lo squalo della Groenlandia emergere dal fondo e divorare grossi pezzi di grasso delle balene che l’equipaggio stava scuoiando lungo la fiancata dell’imbarcazione. Avevano arpionato l’intruso e l’avevano issato a bordo per la coda, con l’albero di carico.
[…]
Quando parlava dello squalo, il suo sguardo aveva una luce speciale e la sua voce cambiava: le storie sentite da bambino non avevano mai smesso di far presa su di lui. E aveva visto la maggior parte dei pesci e degli animali che popolano il mare, ma non aveva mai visto una squalo della Groenlandia.
E neppure io.

L’aura leggendaria avvolge il guardiano delle grandi profondità marine, un essere ancestrale che nuota nei fiordi norvegesi fino a spingersi al Polo Nord. «Lì si trastulla il Leviatano». In latino Somniosus microcephalus.
«Il mito del mostro non sonnecchia forse nel profondo della nostra natura, genetico retaggio dei tempi in cui eravamo prede di predatori ormai estinti […]?»
Con questa promessa non è così difficile scorgere il profilo maestoso di Moby Dick – citato nell’opera di Morten A. Strøksnes (Iperborea) – o forse anche la beffarda ostilità del pescespada del Vecchio e il mare di Hemingway, viene meno la valenza simbolica che muove quelle cronache letterarie ma probabilmente non è questa l’intenzione dell’autore norvegese, il quale nel titolo circoscrive il suo argomentare. «Qualcuno ha scritto che il nostro pianeta non dovrebbe chiamarsi Terra: dovrebbe semplicemente chiamarsi Mare».
E se devo dirla tutta ho trovato un pizzico di tenacia dello Lo zigolo delle nevi di Jørn Riel, che con la Groenlandia ha qualcosa in comune.

Così il narratore, lo stesso Strøksnes, e il suo amico Hugo, pescatore da diverse generazioni, decidono di catturare lo squalo della Groenlandia nelle acque del Vestfjorden, alle Lofoten. Missione che si dilata in tempi non previsti, autunno-inverno-primavera, che mette a dura prova il rapporto tra i due. Animati da una certa caparbietà, nell’attesa della bonaccia e soprattutto del momento propizio, perlustrano in lungo e in largo le acque del fiordo.
Ben presto l’avventura marina sconfina – e con maestria, aggiungo – nella trattatistica, nel diario di bordo, nella contestazione ecologista. Tra i resoconti si avvistano orche e capodogli, si partecipa al campionato mondiale di pesca al merluzzo, si impreca per la forzata inerzia.
Il carattere divulgativo è preponderante, a beneficio di un racconto che tocca molti aspetti della vita sommersa, menzionando statiche e studi scientifici. Cifra narrativa e materia colta si muovono lungo lo stesso binario, o meglio, la stessa onda senza mai creare strappi, l’alternanza concede respiro e vivacizza il silenzio pelagico.
Un ruolo curioso lo svolge la lettura della Carta Marina di Olao Magno (1539), la più significativa eredità dell’epica storica dei popoli nordici: tra boschi, montagne e isole inesplorate si fa largo un catalogo fantastico di mostri, una rappresentazione della realtà sotto la lente di ingrandimento dell’autore. Alla luce di questo scritto lo squalo di Hugo e Morten assume una veste favolosa degna di Scilla e Cariddi.

Devo molto all’Arte di collezionare mosche, mi ha liberata dalla mia rigidità schematica che mi ha fatto approdare a letture come Il libro del mare. In Fredrik Sjøberg si trova la felice quanto mai riuscita convivenza di più generi.

Il libro del mare di Morten A. Strøksnes - interno storie
Il titolo, mai più bello, è una chiara traccia di quel che ci attende: canta un inno e una geografia di rotte contrapposte. Una distesa azzurra che mitiga le difficoltà della terraferma e si trascina dietro il suo ricco destino letterario, più o meno noto.
Il mare di Strøksnes è reale, quanto di più lontano dallo spirito vacanziero, è vuoto dopo la tempesta, verticale di vita, privo di sentimenti e memoria. Una storia d’amore che ne svela lati oscuri e idilli e che l’autore dedica un libro, appunto. Ma è soprattutto il mare nordico che protegge il Muro delle Lofoten, capace di rara bellezza.
E Strøksnes lo ricerca nei ricordi, in questa battuta di pesca, nelle letture, nel folklore. Intorno è mare. Dentro è mare. Noi veniamo dal mare. Ci pensiamo molto al mare.

Sono senza peso, come acqua nell’acqua. Non indistinto, come un nulla, ma come una goccia nel mare.

Il libro del mare di Morten A. Strøksnes, Iperborea, 2017