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La bellezza delle cose fragili di Taiye Selasi

L’inizio è pieno di bellezza, di morte, di fragilità come una goccia di rugiada, di un Ghana rigoglioso, morbido, verde. Ci vuole tempo e spazio per assaporare La bellezza delle cose fragili di Taiye Selasi.

Kweku ritorna in Ghana dopo un periodo di grande sofferenza, un periodo in cui ha cercato di riscattare sé stesso agli occhi della famiglia e della società. A Boston la sua promettente carriera di chirurgo del Brigham Hospital viene stroncata da un’incidente in sala operatoria. Kweku è il capro espiatorio di un sistema, il colore della pelle lo metterà alle sbarre (c’è un’ombra di razzismo?). È il disagio la forza motrice del suo agire: abbandona la famiglia e l’America per trasferirsi in Ghana senza riuscire a confessare il proprio dramma. C’è una figura spiazzante e fuori copione che si aggira nella prima parte: il cameraman che inquadra Kweku rappresenta la società che continuamente ti chiede «perché sei qui?».
Un dolore pulsante ha colpito Kweku in tutto il corpo, che ha anche il sapore pungente della perdita della sorella e della madre, dell’assenza del padre, dell’antica miseria, del colonialismo. La migrazione geografica e sociale dei Sai non apporta alcun riscatto perché la vergogna ha il sopravvento persino sulle parole, sul chiarimento.
A niente valgono la ragione e una posizione onorata nella società americana. E quell’idea di irraggiungibilità che ha definitivamente demolito gli sforzi di una vita per la costruzione di «Una Famiglia di Successo, uno sforzo in cui tutti e sei erano impegnati, tutti, che si battevano per l’obiettivo comune, ancora non raggiunto. Erano incompiuti, facevano le prove, una rappresentazione ancora in via di perfezionamento, in cui ognuno di loro recitava il proprio ruolo con un aplomb affettato, con un’onnipresente ansia di prestazione come una sorta di lieve rumore di fondo. Un ronzio».

L’inadeguatezza assale, tormenta Fola e i suoi figli, nonostante quest’ultimi siano nati nel nuovo continente e soprattutto hanno una cultura americana. Ognuno di loro reca con sé un bagaglio di esperienze che li ha segnati, incarnando sensazioni negative: Olu la tristezza, Taiwo la tensione, Kehinde l’assenza, Sadie l’angoscia. Sono disequazioni di bellezza e fragilità, di intelligenza e sofferenza. Anche Fola, figura indispensabile, bellissima, riservata e imperturbabile, sente sulle spalle il pesante fardello un’immagine d’Africa insignificante, polverosa, irrilevante e perduta.
I Sai sono «senza peso, cinque persone sparse per il mondo, una famiglia senza gravità», leggera, non tenuta insieme né dal denaro, né dalle radici. Una famiglia che si sente fuori luogo, che non ha mai provato la sensazione di sentirsi a casa. La frattura createsi è alimentata dal-non-detto: Olu e Kehinde si avvicineranno alla verità, ma non riusciranno a coglierla.
Inoltre, la bellezza fisica, che diviene ostacolo nei rapporti familiari e interpersonali sfociando nella gelosia e nell’inquietudine, è strettamente legata a questo dolore taciuto, contagioso, irrisolto, ereditario. Sfogliando le prime pagine, ci si imbatte nell’albero genealogico dei Sai, che chiarisce la loro discendenza (non è una saga), ma forse vuole essere una mappatura di questa trasmissione dolorosa. La tragica morta di Kweku porta a una resa dei conti che salverà l’antico nucleo, quando i genitori esistevano in questa forma, al plurale: «Tu li hai fatti tornare a casa», dice Fola sul finale. Ecco, che la casa diventa la famiglia.Non vi ho voluto raccontare nulla della trama se non quello rivelato nella sinossi del libro perché lascio a voi l’esplorazione di una storia piena di sofferenza, violenza, delicatezza, bellissima dalla scrittura bellissima. Credo che da ciò si possa intuire il mio giudizio, che non può che essere positivo. L’esordio narrativo di Taiye Selasi è fulminante, quanto coinvolgente. L’incontro di qualche settimana fa mi aveva lasciato un buon ricordo e non vedevo l’ora di leggere questa meraviglia.
A lettura terminata, ho associato il romanzo ad un cerchio: tutto parte dal continente africano e qui si ritorna; si parte dalla creazione di una famiglia e la si ritrova solo nel finale. Queste righe si dipanano in tre tempi, alternando vorticosamente presente e passato, con qualche pennellata autobiografica.
La Selasi ha uno stile inconfondibile, poetico e contemporaneo, concentrato e introspettivo, che si ramifica in una complessa struttura architettonica. È una narrazione che va assaporata a piccole dosi, senza fretta per capire anche la cura doviziosa dei particolari, dei sentimenti, dei personaggi.
Inoltre, è sbagliato parlare di personaggi africani perché i Sai superano «chilometri, oceani, fusi orari, e altri tipi di distanze più difficili da coprire, come il cuore spezzato, la rabbia, il dolore calcificato e domande che per troppo tempo nessuno ha fatto».

Titolo: La bellezza delle cose fragili
Autore: Taiye Selasi
Pagine: 344
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2013
EAN: 9788806208028
Prezzo di copertina: € 19,00
Disponibile in ebook: € 9,99

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