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Le mie letture

Leggere la montagna

Ricordo come fosse ieri la prima volta che vidi la grande montagna. Scintillava nella placida maestà d’una luna settembrina e pareva, nell’immobilità della notte autunnale, l’incarnazione stessa del mistero, la dimora ideale per gli spiriti di cui, stando alle antiche leggende, pullulano le pendici sferzate da massi. Da quell’istante fui uno dei più reverenti adoratori della grande vetta, e ogni qualvolta la roccia possente appare sull’orizzonte lontano, ne saluto l’avvento con devotissima gioia.

Alla citazione di Albert Mummery, noto arrampicatore, non mi sento di aggiungere nulla, la considero la giusta partenza per chiunque si avvicini alla montagna.

Ritorno a raccontare l’alta quota come un’allieva alla prima lezione, senza retorica, allontano le consumate metafore e simboli. L’indagine letteraria che la riguarda, come sostiene Marco Albino Ferrari nell’introduzione a Racconti di pareti e scalatori, parte dal presupposto che la genesi sulla carta avviene esclusivamente dopo la scalata, che è un mondo lontano dagli occhi e, per ciò in un mondo invisibile.

La mia montagna è principalmente appenninica, estiva e autunnale, di modesti percorsi. Conosco poco le Alpi, se per brevi e folgoranti incontri.

Allora mi inerpico ancora perché la scoperta non ha fine, le mie letture seguono i pendii costellati di narrazioni, saggi, illustrazioni alla ricerca di segni.

PIANO SUB-MONTANO

Partenza morbida e quasi cittadina ma è necessario equipaggiarsi con dovizia – scarpe da trekking, borraccia, cioccolato, giacca a vento – e seguire qualche accorgimento.

A Merano la tradizionale Passeggiata d’inverno è un percorso accessibile e soleggiato, a scapito del nome. Andrea Antinori ha illustrato una mappatura (per Corraini, con testo in italiano e inglese/tedesco), che si decora di giardini esotici con palme e fichi d’india, un torrente canterino, campanili, ville in stile liberty e incontri con due Franz, il signor Tappeiner, promotore della Passeggiata, e Kafka che legge.

Il progetto nasce per la promozione del territorio nell’ambito dell’iniziativa “Muoviti a Merano”, è il sesto volume della collana dedicata alla “Primavera meranese”, in collaborazione con Oplá, l’Archivio del libro d’artista per bambini.

Una balena va in montagna di Ester Armanino (Salani) si compone di blu e verdi profondi che gli acquerelli di Nicola Magrin spiegano sulla pagina rincorrendo questa storia lieve e sorprendete.

Una volta, in montagna, ho incontrato una balena. Si chiamava Niska. […]. Tra le domande di Niska ce n’era una grandissima: da dove viene l’acqua del mare?

Inizia così questo portentoso viaggio di un cetaceo curioso, per arrivare all’origine della sua domanda. Salino, il suo amico, ha una risposta: si trova in una sorgente in alta montagna. Ma c’è anche un bambino che da lassù può solo immaginare il mare. Poi avviene un incontro speciale, tra mare e montagna, che è un tuffo che sa di lacrime, ruscello, torrente, fiume e infinita distesa salata. Ciascuno sente la mancanza di casa, è necessario tornarci.

PIANO MONTANO

A un certo punto della storia è la montagna a prendere la parola, più precisamente nell’Urto, per raccontare la sua genesi millenaria: il risveglio è lento e violento, «la roccia si torceva, la terra si sovrapponeva, si ammucchiava, si piegava, esplodeva. […] E le mie pareti, i miei picchi e le mie pendici sono stati nuovi rifugi».

La nascita è accompagnata da segni visivi, certi e universali, nonostante ci troviamo sui Pirenei, a diretto contatto con il confine francese, tra Camprodon e Prats de Mollò.

Io canto e la montagna balla di Irene Solà (Blackie edizioni) è un romanzo polifonico, che si srotola negli anni, apre e chiude porte, trascinandosi dietro frammenti di storie per ricomporsi solo alla fine. L’inizio è la morte del contadino-poeta Domènec a causa di un fulmine, lascia la moglie Sió e i due figli, Mia e Hilari, esposti a un’altra tragedia.

I sentieri si popolano delle encantades streghe e presenze tangibili, funghi trombetta, caprioli e orsi, della solitudine della vita montana.Nei meandri più nascosti si possono trovare ferraglie e tracce della Guerra civile, ma solo l’occhio più attento è in grado di riconoscerli, sono diventati un tutt’uno con la terra.

Si definiscono i miti, gli elementi naturali, gli spiriti, le goffaggini e errori umani attraverso pagine di originale poesia, un amalgama di conoscenza antica e visione contemporanea.

Fumetto aspro quello di Jean-Marc Rochette Il lupo (L’ippocampo), con postfazione di Paolo Cognetti). Sul Massiccio degli Écrins, in Francia, si mette in scena l’eterna battaglia tra selvatico e dominio umano: un pastore per ben due volte subisce la decimazione del suo gregge da parte di una lupa. La stagione fredda è alle porte, per il pastore che non ha più appigli affettivi, vendicarsi sarà la sua unica ragione. La solitudine dell’uomo trova terreno fertile in un villaggio spopolato dai bagliori cittadini, si delinea lungo le salite che presto coperte di neve e nella perdita di punti di riferimento.

È un tema ricorrente, la dura convivenza tra natura, in tutte le sue forme, e la presenza antropica che la vorrebbe asservita ai suoi ritmi, ai suoi scopi, ma qui gli esiti troveranno un rinnovato compromesso. 

PIANO ALPINO

Un rifugio ha scritte sulle mura valore e memoria, non è un semplice luogo di riposo dopo una lunga camminata, è un luogo depositario di tanti passaggi.

Roberto Dini, Luca Gibello e Stefano Girodo segnano un’altra tappa nella collana del Mulino Ritrovare l’Italia, Andare per rifugi.

È guida ricca di curiosità, per nulla noiosa, storiche e architettoniche sui ripari montani che hanno segnato l’alpinismo italiano. Sono stati selezionati proprio gli edifici che hanno lasciato una traccia, connessi alla particolare orografia, soprattutto alla Storia, all’associazionismo, alla necessità, alla parsimonia, alla concezione dell’alpinismo e alla sua evoluzione temporale fino alle conseguenze del turismo di massa.

Il più curioso è il Vittorio Emanuele II, quota 2732 metri, che scintilla in prossimità del Gran Paradiso; ha una struttura che ricorda un sottomarino fin dai materiali, rispecchia gli slanci degli anni ’20. Un modello rottura rispetto agli usuali ricoveri.

Tra i rifugi menzionati ho soggiornato al Sella-Tuckett, che si trascina vicende bizzarre, sulle cime del Brenta. Di quel ho un ricordo vivido di un cielo stellato, denso di luci, e un’alba rosata che è il marchio di fabbrica delle Dolomiti.

Da tenere nello zaino per stupire i compagni di camminata.

PIANO NIVALE

Destinazione Tibet per Sylvain Tesson, per avvistare un animale schivo quanto raro, La pantera delle nevi (Sellerio), nome scientifico Panthera uncia. Su invito del fotografo Vincent Munier e altri due compagni d’avventura, si inerpicano sull’altipiano del Qiangtang, un’area immensa, pendii neri, temperature sotto lo zero nel rigido inverno, altezze tra i quattro e i cinquemila metri.

Il paesaggio è stratificato in tre fasce. «Nel cielo i ghiacciai perenni. Sui pendii, le rocce intorno alle quali stagnava la nebbia. Nella valle, creature ebbre di velocità.» Poi, all’improvviso una natura selvatica che sembra un’eccezione: lupi, antilopi, yak, pecore blu. Su tutto l’immobilità dei giorni umani. Per assistere alle apparizioni della pantera si è costretti al «duplice esercizio della pazienza e dell’attenzione».

È un viaggio d’osservazione, non solo di ricerca, che include un contesto così lontano dai ritmi occidentali ma che subisce un svilente addomesticamento quotidiano per pressioni economiche e politiche.

Anche in questo caso, come già accaduto per Paolo Cognetti Senza mai arrivare in cima, aleggia lo spirito guida di Peter Matthiessen con il suo Leopardo delle nevi, ma in questo caso gli esiti sono più coinvolgenti rispetto all’autore italiano, che risulta frettoloso e inconsistente. Tesson ha una grande esperienza con gli spazi aperti e estremi.

Il mondo era uno scrigno pieno di cose preziose. I gioielli erano rari perché l’uomo aveva fatto man bassa del tesoro. Qualche volta capitava ancora di avere davanti agli occhi un brillante. Allora la terra sfavillava.

Le antologie di Einaudi, soprattutto quelle montane, sono sempre ben curate. E neanche stavolta si smentisce con Racconti di pareti e scalatori a cura di Marco Albino Ferrari. La narrazione è tutta puntata sulla conquista delle vette, su uno sguardo in prima persona, come testimonianza diretta – diari, guide, resoconti, cronaca – di paesaggi verticali.

All’inizio è una storia tutta europea, soprattutto in seguito alla fondazione dell’Alpine Club di Londra, inaugurando una stagione di ascese, poi gli orizzonti si allargano e ci si spinge in Asia, sull’Himalaya, sulle Ande, in Nord America.

La montagna perfetta, il Cervino, le Dolomiti fatate e le stellate, bivacchi fortuiti, i calcoli, sacchi a prova di freddo, strapiombi e bufere per arrivare in cima, aprire nuove vie, cantare per assottigliare il tempo.

Gli arrampicatori disegnano montagne, seguono percorsi accidentati, conquiste, fallimenti, la delusione delle aspettative, senza romanzare nulla.

Chi scala? Francis Tuckett, persino il padre di Virginia Woolf, Leslie Stephen, Ninì Pietrasanta, Riccardo Cassin, Emilio Comici, Hermann Bhul,Walter Bonatti, Reinhold Messner, Molly Higgins: il gergo tecnico, fatto di corde, chiodi e codici comportamentali, bombole d’ossigeno si fonde con la lotta contro le avversità.

L’unico racconto che non ho apprezzato è stato il resoconto di Cesare e Fernanda Maestri per lo spirito egoista e competitivo, che mal si addice a un ambiente così duro.

Tanti hanno ribattezzato poi alcuni rifugi.

Poche donne, pochissime che si sono lanciate nelle imprese o hanno trovato memoria sulla carta.

Foto di copertina: da Alla ricerca del fiore dorato di Benjamin Flouw (Sinnos edizioni)