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Storie di boschi

Il bosco entra nella letteratura, con tutto il corredo simbolico di conscio e subconscio, pericolo e libertà, innestato dalle fiabe orali e che trovano ulteriore slancio nei racconti moderni di viaggio, autobiografici ed esperimenti sociali. Si trascina dietro una metafora oscura, ma appunto si rinnova come cuore pulsante della Natura – per una doverosa sensibilità ecologica – e soprattutto attraverso l’esperienza personale. Non abbandona l’aura magica ma si arricchisce di significati intimi, più vicini a certe stagioni della vita.
È molto evidente nel Taglio del bosco di Cassola: Guglielmo è costretto per ragioni finanziare a lasciare il villaggio e a fare il taglialegna legna, un motivo per espiare il dolore e le perdite familiari. Costretto a sostare nei boschi per mesi, subisce il suo dramma, segue le metamorfosi della natura, quel continuo rinnovarsi fino a chiedersi se quella speranza possa toccare finalmente lui. Cassola non è uno scrittore naturalista, ma sa bene che attraverso il paesaggio filtra la vita, dà valore e colore.
Bisogna osservare, tendere le orecchie e ascoltare: «i venti cantarono le antiche storie dei giganti che costituivano la parte più bella del loro repertorio. Queste storie non le conosciamo, ma si sa che riempissero l’aria di una grandissima gioia».

 

Iniziamo con gli animali, con il re dei boschi, una lupa precisamente che non ha nulla a che fare con Cappuccetto Rosso per fortuna. La copertina pone in primo piano i magnifici occhi ambrati di una lupa, illustrata da Mariachiara Di Giorgio, che ne ha curato la grafica interna.
È una storia lieve, in qualche modo di divulgazione. Lupinella, questo è il nome della protagonista, che Giuseppe Festa le ha attribuito, racconta la sua vita, dalla nascita fino all’abbandono del nido familiare alla ricerca di una sua indipendenza territoriale e proseguimento della specie. Ci sono la montagna, la presenza umana, l’inesperienza: bisogna imparare tutto, a cacciare, a seguire le tracce e la gerarchia del gruppo, a difendersi dai pericoli.
Una lupologa chiarisce e approfondisce certi passaggi, i comportamenti dell’animale in questione, alcune curiosità. Esiste questa figura che studia i lupi e che al termine del libro (con annesse attività da svolgere all’aperto) ci parla del progetto Life Woolfs Alps per la tutela e il ripopolamento alpino dei lupi, necessari al buon mantenimento della catena alimentare.
Le voci del racconto, un aspetto non secondario, sono affidate a una scienziata e a una lupa.

Storie di boschi - Lupinella - interno storie

Cambio tono.
Con il seccesssivo adattamento cinematografico di Ermanno Olmi con protagonista Paolo Villaggio, Dino Buzzati racconta l’amore per la montagn e la natura in una piccola fiaba.
Il Bosco Vecchio è costituito da alberi secolari, mai abbattuti, un vincolo da sempre rispettato e al tempo stesso è un’area quasi inaccessibile, perché custode di un segreto. Quella di Buzzati è una storia naturale, che trova una cifra fantasiosa nei genî, gli abitanti del bosco che vivono sugli alberi e possono assumere sembianze umane, come la guardia forestale Bernardi, nome tutelare del popolo fatato, negli animali e nel vento che prendono la parola.
Il Morro, il precedente proprietario, nutriva un’autentica venerazione per il bosco, disprezzato quando gli succede Sebastiano Procolo, il quale fin da subito esprime il suo distacco dalla comunità e con quanto eredita. La sua dimora all’inizio del bosco acuisce la sua marginalità, considerata invece una risorsa dal Morro. È quindi costretto ad occuparsi del bosco, tuttavia la sua avidità è tale che vede nel legname una fonte di guadagno, con l’intenzione di sbarazzarsi anche dell’altro erede, il nipote Benvenuto. Quest’ultimo è il personaggio più genuino, pone piena speranza nello zio anche quando lo mette in serie difficoltà.
Il bosco è teatro dei giochi di Benvenuto, il luogo spensierato e rifugio contro gli eventi inaspettati. Emana il suo respiro e vitalità, cambia persino umore quando si palesa il colonnello, sempre intento a controllare il nipote. L’aria si addensa di svogliatezza. La sua presenza reca disturbo, rompe l’incanto pomeridiano come la quotidianità naturale. Il bosco sa di chi fidarsi.

Tra il bosco e Benvenuto esiste un legame invisibile che trova corrispondenza in una precisa stagione: l’infanzia, che sta per concludersi, sboccerà con l’arrivo della primavera in una nuova forma.
«Bosco Vecchio è un mito: è la foresta sacra dove affondano le loro radici l’infanzia dello scrittore e quella dell’umanità, dimensione incontaminata che simbolizza la vita come forza gioiosa e gratuita, disinteressata ed eterna, sopra le transitorie, ancorché obbliganti, fenomenologie dei poteri», scrive nell’introduzione Claudio Toscani (anticipando tanti passaggi: leggetela come postfazione).
Crescendo Benvenuto guarderà con occhi nuovi ciò che è stato, non presterà più attenzione, anzi apostroferà come una cosa ridicola. L’età adulta è alle porte e farà perdere l’innocenza che ha animato sguardi e gesti.
«A una certa età tutti voi, uomini, cambiate. Non rimane più niente di quello che eravate da piccoli. Diventate irriconoscibili. Anche tu colonello, un giorno, dovevi essere diverso…» dice Bernardi.
Salvaguardare la foresta, oltre al suo intento ecologico, significa preservare la magia dell’infanzia nei ricordi e per le generazioni future. Entrare in contatto con la natura, assaporare i sentori balsamici, ascoltare i rumori che il colonnello percepisce per la prima volta aspettando il nuovo giorno. Ne conta quindici: fruscio di foglie, caduta di pigne e rami, scorrere dei torrenti, animali che attraversano la foresta, rami che si spezzano, versi degli uccelli notturni. Ma soprattutto il silenzio.
«Ma due e tre volte quella notte, ci fu anche il vero silenzio, il solenne silenzio degli antichi boschi, non comparabile con nessun altro al mondo e che pochissimi uomini hanno udito».

 

Quel silenzio, secondo Mario Rigoni Stern è udibile durante i giorni più freddi dell’anno: la neve ovatta i suoni e il tempo, lo sospende. Ma il tempo gioca un ruolo importante in Stagioni, ha una precisa corrispondenza nella vita umana. Ecco perché l’incipit: «Sono nato alle soglie dell’inverno, in montagna, e la neve ha accompagnato la mia vita». Osservare è un verbo importante per l’autore veneto: i segni sulla neve degli animali e il candore paesaggistico interrotto dal fumo del fuoco e dalla luce metafisica; il ritorno delle rondini con l’intiepidirsi dell’aria; i bruschi cambiamenti atmosferici che fanno precipitare le giornate; la brevità dell’estate e l’interferenza umana che in massa si sposta in vetta compromettendo gli equilibri faunistici; gli odori intensi dell’autunno acuiti dall’umidità.
Più volte Rigoni Stern ribadisce il concetto di tutela della natura, l’inquinamento e la scarsa cura ambientale siano temi da affrontare sempre, come nel Libro degli animali. Percepisce il pericolo dell’inesorabile perdita della selvatichezza, l’autenticità del suo valore primigenio, l’equilibrio, capace di autoregolarsi, spezzato. «I tuoi passi si confondono con il rumore delle gocce che cadono sugli alberi e poi nel sottobosco con rumore più forte; con questo tempo diventa più probabile avvicinare e sorprendere quegli animali che con l’uomo hanno poca dimestichezza o che per esperienza lo temono». I crocieri, caprioli, l’urogallo, i larici, i mirtilli, gli aceri montani, i cortinari, i muschi un grifone che si spinto oltre la sua zona sono il catalogo di questo naturalista che ha imparato esclusivamente sul campo, un lungo e infinito apprendistato. Rigoni Stern li elenca, ne conosce le abitudini, traccia orizzonti, quasi a impartire una lezione attraverso queste pagine letterarie. La sua esperienza diretta è simbiotica alla quotidianità montana.
Senza alcun dubbio l’autunno è la stagione prediletta. L’espansione dei profumi, la tavolozza dei colori che abbandona la brillantezza uniforme dell’estate: «È il momento magico del bosco, dei silenzi, delle albe nebbiose, dei colori smorzati verde-bruno-giallo in tante tonalità che a tratti una luce misteriosa rende evidenti nel sottobosco pre-invernale».
Le stagioni e la vita si alternano in un gioco di comparazione che non è semplice aneddotica, ma segue il sentiero della libertà. I pensieri di guerra, la sua durezza e crudeltà trovano respiro nei ricordi infantili del tepore domestico e dei teatrini domenicali, nelle imprese giovanili, nei racconti di caccia, nel grande ritorno, nel silenzio, che probabilmente lo avranno confortato duranti i crudeli giorni bellici.
«[…] L’ora e la stagione, e i ricordi che ti accompagnano – ti fa intensamente partecipare a un mondo che senti esclusivamente tuo, che ti aiuta a capire le stagioni della tua vita che nessuno potrà mai rubarti».
E così si compie la comunione sacra tra esistenza e bosco.

 

Lupinella. La vita di una lupa nei boschi delle Alpi di Giuseppe Festa e Mariachiara Di Giorgio, Editoriale scienza, 2018
Il segreto del Bosco Vecchio di Dino Buzzati, Mondadori, 2016
Stagioni di Mario Rigoni Stern, Einaudi, 2016