Da Roberta mi aspettavo meraviglie, quando ho visto la sua illustrazione per la rubrica Comodini ho sgranato gli occhi, si è superata.
Ma andiamo con ordine. Chi è Roberta Rossetti? Una bravissima illustratrice, con alle spalle una formazione da scenografa teatrale e molti laboratori nelle scuole.
Il suo racconto non è un caso: dopo Lorenzo di La tata maschio, ho voluto che ci fosse anche lei, perché i due sono un’infallibile coppia editoriale, hanno pubblicato diversi libri insieme. Poi adoro le sue matite, i suoi acquerelli.
Scopiramo il suo comodino.
Il mio comodino non è un comodino. O almeno non lo è nel senso stretto del termine.
Il comodino accanto al mio letto è una sedia, una sedia che forse qualcuno definirebbe vintage, ma che io ritengo semplicemente vecchia. Nel senso più nobile.
Era la sedia che la mia nonna, sarta di professione, teneva accanto alla macchina da cucire.
E anche se un po’ sgangherata e di design non particolarmente ricercato, fa quello che deve fare. Regge ciò che serve e, ancora più importante, ha una storia da raccontare.
Sul mio “non comodino” non può mai mancare la luce da lettura, riuscendo a ritagliarmi un momento per i libri solo dopo che tutta la casa si è addormentata, la sveglia a batteria perché il cellulare non può entrare in camera da letto, e un folletto di panno e legno che mi ricorda il piccolo elfo Alfur, compagno di avventure di Hilda, la bimba dai capelli blu, esploratrice di lande selvagge, amica di troll e giganti, protagonista di una delle mie graphic novel preferite, creata da Luke Pearson, edita da Bao Publishing. Il mio Alfur, ogni mattina, mi sussurra all’orecchio il buona strada di cui ho bisogno per uscire dalle coperte.
Accanto a lui altre figure si aggirano inquiete.
A bordo della sua barchetta naviga Max, verso Il Paese dei mostri selvaggi (Adelphi). Per me in assoluto uno tra i libri più potenti che siano mai stati scritti e disegnati.
La fuga immaginaria di un bambino arrabbiato verso un paese dove tutte le emozioni, anche quelle scomode, trovano posto.
Maurice Sendak, fin dalla prima pagina, mette in chiaro lo strettissimo e innovativo rapporto tra testo e illustrazione.
«Quella sera Max indossò il suo costume da lupo e ne combinò una delle sue». Non sono necessarie altre parole. Nella pagina a fronte l’autore lascia che a parlare sia il disegno.
E ad ogni nuova apertura l’illustrazione cresce, accompagnando Max nel suo percorso di ribellione. Chiuso in punizione nella sua stanza ribolle di rabbia e una foresta sconfina da una pagina all’altra. Poi il bimbo si mette in viaggio e approda sulla spiaggia del Paese dei Mostri Selvaggi e senza un mimino di paura o esitazione li domina e diventa il loro re, solo fissandoli negli occhi. E scatena la ridda selvaggia.
Tre pagine iconiche, quelle centrali, nella storia dell’illustrazione. Le prime in un albo ad essere completamente prive di parole (siamo nel 1963), ispirate alla pittura rinascimentale, dove il protagonista e i mostri danno il via ad una danza sfrenata, una sorta di ballo catartico che libera dalla collera per lasciare spazio al bisogno di conforto.
E così Max lascia i mostri, buffi e bellissimi ormai non più spaventosi, per tornare a casa in un viaggio infinito che dura un solo attimo, dove sa che troverà l’affetto di una cena tenuta in caldo.
Questo albo illustrato presenta una storia tanto semplice, quanto misteriosa e profonda. Una discesa nell’inconscio per guardare in faccia la natura più selvaggia dell’essere umano. Per ricordaci che quei mostri del titolo, in lingua originale the wild things, sono dentro di noi e non li dobbiamo temere.
E che i bambini sono i più coraggiosi di tutti.
Tra la neve si intravede il pelo fulvo della volpe Mickel.
Dalla penna dell’immensa Astrid Lindgren e dai pennelli delicatissimi di Eva Eriksson, nasce il racconto di natale La Volpe e il Tomte (Il gioco di leggere).
Neve, volpi e atmosfera scandinava, tre ingredienti per me irresistibili.
Ispirata da un poesia di Karl Eriksson Frosslund, la Lindgren presenta la figura nordica dello gnome custode, il tomte, incaricato di proteggere le fattorie da eventuali intrusi.
E un intruso affamato dalla lunga coda, la notte di Natale, sotto un cielo stellato si intrufola nel pollaio in cerca di galline.
Il tomte insegnerà alla volpe il valore della condivisione, dissuadendo Mickel dal rubare e donandogli un cucchiaio della sua zuppa di avena che per tradizione viene lasciata dagli abitanti della casa, sicuri dell’esistenza dello spirito protettore, pur non avendolo mai visto.
Le illustrazioni molto classiche, seguono il racconto narrato con un filo di voce, la voce dei pensieri dei due personaggi. Sono confortevoli, come il più bel regalo di Natale: qualcuno che si prende cura di noi.
E laggiù? Chi si nasconde tra la vegetazione della foresta africana? Un avventuriero..mi sembra di conoscerlo, è Roald Dahl!
Sto per fare una dichiarazione d’amore. Roald Dahl è l’autore che mi ha fatta appassionare al mondo delle storie e per questo avrà sempre un posto speciale sul mio “non comodino”.
Non con un racconto in particolare, ma con quello che li racchiude tutti: Boy (Salani), la sua “quasi” autobiografia.
Il suo intento infatti, dichiarato già nella prefazione, è quello di narrare liberamente le sue esperienze più significative. E in effetti Boy si può definire un’autobiografia dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autore inglese.
Un’autobiografia che parte dall’avventurosa fuga del padre di Roald che lascia la Norvegia per l’Inghilterra per poi scomparire prematuramente, affidando i bambini alle cure di una madre energica e tostissima.
Le pagine di Boy ci portano in viaggio tra l’Inghilterra e la Norvegia degli anni Trenta fino a scoprire che gli incredibili personaggi descritti nei romanzi del Dahl adulto, altro non sono che rielaborazioni di incontri della sua infanzia. E finiamo per rivedere gli Sporcelli nel negozio di dolci della raccapricciante miss Pratchett , incontriamo i terribili giganti Strizza Teste e Ciuccia Budella nei corridoi delle scuole private che Dahl frequenta e tremiamo di fronte alla signorina Spezzaindue, ispirata ai tanti presunti educatori che il ragazzo ha dovuto subire negli anni della formazione. Ma poi ci consoliamo provando le nuove barrette di cioccolata della fabbrica di Cadbury e ridiamo a crepapelle per gli scherzi architettati da Dahl e i fratelli nelle estati trascorse tra gli arcipelaghi norvegesi.
Boy è una vera avventura che si conclude con l’inizio di una nuova esplorazione. Terminati gli studi infatti Dahl che più di tutto teme la noia di un lavoro d’ufficio, viene assunto dalla Shell Company e parte alla volta dell’Africa Orientale. Onorando il suo nome, Roald, scelto per lui in onore di Roald Amundsen, esploratore norvegese considerato eroe nazionale.
Le illustrazioni di Quentin Blake, sono la naturale prosecuzione della penna di Dahl. Niente altro da aggiungere se non il mio più sincero grazie ad entrambi.
Ancora due figure passeggiano a fianco del mio non comodino. Si tengono per mano e si chiamano Jim e Kit, sono due adolescenti irlandesi e ad una prima occhiata sembrerebbero uguali a tutti gli altri.
Ma lui è un pavee, un rom, un nomade emarginato da pregiudizi e stereotipi di adulti e compagni di scuola, mentre lei è una buffer, una stanziale che leggermente in sovrappeso e senza una madre, proprio come Jim è allontanata da tutti.
Queste due solitudini si incontrano nelle pagine de Il pavee e la ragazza (Uovonero), scritto da Siobhan Dowd.
In questo romanzo di formazione i temi personali della ricerca d’identità e di accettazione di sé si fondo a tematiche sociali profonde come la paura per il diverso, la discriminazione e l’ancestrale timore per una cultura complessa come quella nomade, messa ai margini in tutta Europa.
A questi tormenti fa da sfondo il villaggio irlandese di Dundray, un luogo brullo e aspro che non conforta e non lenisce, proprio come il testo scritto da Siobhan Dowd. L’autrice non lascia il posto al sentimentalismo, ma riesce a generare forte empatia con il vissuto di esclusi. Il linguaggio è diretto, spoglio come una scogliera battuta dal vento, ogni parola è lì per un motivo ben preciso e questa misura ha il potere di commuovere.
Emma Shoard, che accompagna il racconto con i suoi acquerelli, è un’illustratrice inglese che vive su una chiatta ormeggiata sul Tamigi. Per questo progetto ha incontrato e condiviso la quotidianità con i travellers stanziati nei pressi di Kilkenny. Le sue immagini, come in un poetico reportage, cancellano l’idea romantica di vita nomade per narrare le emozioni ambivalenti di chi pur temendo la precarietà non ne può fare a meno.
L’autrice del libro, vincitrice di numerosi riconoscimenti internazionali, ci ha lasciati nel 2007 a soli 47 anni, ma prima della sua partenza ha fondato il Siobhan Dowd Trust, a cui vanno i diritti dei suoi libri, poi devoluti a progetti che offrono possibilità di lettura a bambini che crescono in contesti svantaggiati.
Non so ancora se basteranno i baci rubati nel buio di una grotta a salvare Jim e Kit da un mondo intollerante e spaventato perché il libro è “in corso di lettura” sul mio non comodino proprio in questi giorni.
Sono questi i racconti che amo, quelli che non si fermano al testo scritto o alle immagini illustrate, ma che dentro una storia ne nascondono altre e che una volta terminati continuano il loro viaggio al di là delle pagine e dell’inchiostro. Come un comodino, che ieri era una sedia.