Una domenica di ottobre inoltrato, cielo terso e un autunno solo sulla carta. Sembra di non arrivare mai, fino a quando dopo due ora di auto si scorgono le guglie di Rocchetta Mattei. Intorno i boschi, quasi verdi, dell’appennino bolognese.
Il comune di appartenenza è Grizzana Morandi, che è diventata nel Novecento dimora estiva del noto pittore bolognese, Giorgio Morandi, e oggi casa-museo.
Il castello sembra essere lì per caso, così fuori luogo. Svettano le cupole esotiche su una struttura che invece rimanda a eredità più nazionali.
Il nome è tutto del conte Cesare Mattei (1809-1896), che però non ha alcun titolo nobiliare, semplicemente gli è assegnato da Pio IX a seguito un’importante donazione nell’area di Comacchio. Ha alle spalle una certa agiatezza familiare, come Guglielmo Marconi, che gli consente di frequentare i salotti buoni di Bologna e di fondare una banca.
Dopo la morte della madre, si rifugia sull’appennino e erige il suo castello. È il 1859 quando iniziano i lavori. Edificato sulle rovine dell’antica Rocca di Savignano, diventa all’interno un labirinto, un laboratorio e un’accozzaglia di stili – dal moresco, al liberty al medievale e rinascimentale – che lascia stupefatti persino sulle stonature.
Nella Sala dei Novanta campeggia il suo ritratto sulla vetrata tonda, qui Mattei avrebbe voluto festeggiare i novant’anni, il verde brillante si alterna alle decorazioni liberty.
Quando si entra ci si isola davvero in un mondo immaginifico, mentre le montagne sembrano entrare dalle finestre dei piani superiori.
La visita porta in luce molte curiosità che lo riguardano, alcune bizzarre, come tutto ciò che concerne gli arredi e la progettazione. Per esempio La Sala rossa o studio del conte: il soffitto bugnato ricorda le muqarnas arabe, è in carta pressata e si dice costituito dagli articoli poco graditi a Mattei.
Mentre le decorazioni sono frutto degli scenografi dell’Enrico V di Marco Bellocchio.
La sala, dove è sepolto il conte, è un po’ claustrofobica perché quel disegno d’archi in bianco e nero sembra allungarsi verso l’alto e presentarsi come un pre-Escher.
Il Cortile dei leoni è il mio preferito: è un viaggio a Granada, seppur non ci sia mai stata. Al centro la fontana con i felini e intorno il portico, in alto una scritta araba segue il perimetro, come le brillanti piastrelle sivigliane.
Studioso di medicina alternativa, da lui ribattezzata elettromeopatia, viene citato nei Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij proprio per questo suo interesse. Resta sicuramente una figura singolare, fuori dalle righe, eclettica, praticante dell’esoterismo, che ha affrontato diversi intrighi familiari.
Senza dubbio è un po’ fuori mano, ma la Rocca è inserita in un piccolo circuito di borghi e di sentieri, che in qualche modo ripaga per chi non fosse dei dintorni del capoluogo emiliano.
Per esempio Riola, che dista qualche chilometro, dà il benvenuto con una chiesa atipica, Santa Maria Assunta. Soffiano venti nordici: i lavori di progettazione sono stati affidati all’architetto finlandese Alvar Aalto nel 1966, il suo unico lavoro italiano.
La navata è asimmetrica e la luce filtra importante da un lucernario che si affaccia sul fiume. Oltre alla fattura industriale, le vele esterne rappresentano le cime appenniniche.
Informazioni utili
Chiesa Santa Maria Annunziata di Riola
Per arriva in auto, non prendere l’uscita di Sasso Marconi se si è sprovvisti di telepass
Per pranzare: Mulino Cati – Bar Locanda e Alimentari Luana (da asporto) a Ponte di Verzuno