Sono arrivata per l’ultima mezz’ora dell’incontro, ho messo a dura prova la mia bicicletta: non avrei mai potuto perdermi Paolo Cognetti nell’unica occasione di averlo in città.
Parma, nel cuore dell’Emilia, così vicina e così lontana da certi circoli culturali, perennemente intrappolata nella sua aria snob, ogni tanto sorprende con piccoli miracoli che non hanno a che fare figurine prive di spessore anche quando si tratta di nomi altisonanti.
Paolo Cognetti ha presentato, mercoledì 22 febbraio, alla libreria Diari di bordo, il suo ultimo e da me amatissimo Le otto montagne, in una sala gremitissima (complice Che tempo che fa?), tanto da toccarmi un angolino a ridosso dell’ingresso. Mi ci vuole qualche minuto per essere attenta, distratta da alcuni che tentano di entrare.
Ho preso qualche appunto, ma più per fissare questa data su un foglio che per trascrivervelo come un dettato, anche perché arrivando in ritardo buona parte dell’intervento è andato perduto.
C’è comunque un pensiero che mi ha fatto riflettere, il leitmotiv del libro: ciascuno prima o poi trova il suo luogo dell’anima e spesso ne corrisponde uno nuovo a ogni tappa della vita. Il cambiamento coinvolge tanti aspetti del nostro percorso, da quelli più banali ai più profondi; lo spaesamento è dietro l’angolo, ritrovare l’orientamento a volte è faticoso come inaspettato.
Paolo l’ha trovato nelle altitudini rinselvatichite, con tutti i dubbi e le buone intenzioni, sentimento ambivalente che si rispecchia in Pietro, protagonista del suo libro. Uomini, libri e montagne in certo senso richiama il libro di Mario Rigoni Stern – suo punto di riferimento letterario – Uomini, boschi, api.
A ottobre si è recato a New York, metropoli di cui ha scritto molto: «Mi sono sentito fuori posto».
Ho con me Le otto montagne, che ho divorato appena è uscito in libreria, mi tocca seguire la fila. Solitamente sfuggo al firmacopie, mi pare di infastidire l’autore magari con osservazioni sciocche e poi non sono una fanatica della dedica. Stavolta ho fatto un’eccezione, perché avevo intenzione di dire cose inutili e sciocche.
Ho scambiato qualche parola, ho vinto in qualche modo l’imbarazzo. Così mi sono parlato del piccolo Pietro che ha dato lustro ai uno dei suoi racconti più belli; e complimentata per il libro. Paolo ringrazia come se quella lode la sentisse per la prima volta, quasi con fare incredulo, al contrario di tanti scrittori – meritevoli e mediocri – dall’aria altezzosa e distante, dimenticando che il riconoscimento giunge proprio dai lettori.
Mi scrive: «A Marina che andrà in montagna». E mi dice prima «Con un nome così non vieni dalla montagna». Però ho prenotato le scarpe da trekking, dovrei iniziare a camminare per i sentieri.
Finisce così in poche battute una bella conoscenza – se così si può chiamare -, che vale più di tutta la presentazione in se.
Tante considerazioni mi sono venute in mente appena ho svoltato l’angolo, quali che ho trovato una citazione di Inverni lontani (nei ringraziamenti riferisce dei tanti rimandi letterari), che uno scrittore come lui bisogna tenerselo stretto, che saprebbe rendere interessanti anche un trattato sulla coltivazione delle patate (opinione ferma che ripeto ogni qualvolta chiudo una sua lettura). Qualche minuto non basta, non rientro in quella categoria di gente che ti racconta la sua vita in pochi secondi, né tanto meno si prendere una persona bloccare una persona quando dietro hai tanti lettori sono lì per il tuo stesso motivo.
Il tono della libreria è allegro, fuori il vociare ti investe, è fastidioso, polemico e superficiale. All’uscita dal negozio di una grande catena di abbigliamento due donne si consolano per un acquisto azzardato, provando a ipotizzare possibili look. In tutta fretta, le lascio dietro, per un attimo ho scordato gli impegni del giorno dopo. Perché mi porto dietro un bel ricordo, una manciata di parole in mente e sul libro.