30 aprile: sono esattamente 2 mesi che sono in casa e davanti ne ho un altro pieno nonostante le presunte concessioni. Ma sarà una vita sociale e lavorativa tutta da ricostruire, sempre all’erta.
Faccio solo un piccolo bilancio su come sia cambiata la mia quotidianità. In realtà poco, al di là del lavoro e dello sport all’aperto, delle frequentazioni delle biblioteche. Inizio dalle cose pratiche: la spesa al supermercato è sempre stata dilazionata in un paio di uscite mensili, cerco di essere meno dipendente dalla grossa distribuzione; mi sono affidata alle aziende agricole locali, comprese quelle del mercato cittadino settimanale. Ho fatto pane e pizza come di consueto ma ho sperimentato di più in cucina. I film soprattutto italiani del secolo scorso, dei maestri del cinema, mi hanno tenuta compagnia. La corsa è stata sostituita con esercizi domestici rispettando il vicinato.
La notte sono inquieta.
E il resto è qui.
I libri
Che Judith Schalansky sia una narratrice curiosa è un dato di fatto, come conferma il recente Inventario di alcune cose perdute (nottetempo). Per chi non si rammentasse è l’autrice del noto Atlante delle isole remote (Bompiani).
Questo archivio ruota intorno a dodici elementi, è fatto di volti, opere, isole, idee, bestie – i carmi di Saffo, il palazzo della Repubblica di Berlino, la tigre del Caspio, il primo film di Murnau. A ciascuno sono dedicate esattamente 16 pagine, rifacendosi al sedicesimo che viene stampato in un’unica lastra tipografica; ed è introdotto da un’immagine impressa su nero, visibile a favore di luce, cito la presentazione della casa editrice: «perché rappresentano appunto cose che non è più possibile vedere se non attraverso la memoria».
La prefazione è un piccolo saggio, una riflessione sulla memoria e il presente che deve far appello alla Storia; come la materialità del passato abbia in qualche modo una possibilità di sopravvivenza in più rispetto alle fragilità degli strumenti informatici. Attenzione, non parla di culto della rovina ma la raccolta si imprime di un sentimento nostalgico, per ciò che abbiamo mancato di fare.
È una scrittura con un periodare denso, ricco e con guizzi moderni, per tale motivo è consigliabile una lettura meditata. Forse all’inizio vi stordirà, perché piena ma non mollate perché rivela grandi sorprese a cominciare dall’agilità narrativa. Infatti, l’autrice si muove su diversi generi – dalla fiction, all’autofiction, alla voce enciclopedica e biografica, per includere corrispondenze – non sempre dirette – con l’oggetto dei suoi studi, fino a sconfinare anche in due esempi di nature writing, L’unicorno di Guericke e Il porto di Greifswald.
Il mio primo Giorgio Fontana è l’ultimo a essere uscito, Prima di noi (Sellerio). Ed una storia familiare di quelle calorose, sbiadite e corroboranti, da album dei ricordi.
All’inizio vediamo un giovane soldato che abbandona il campo di battaglia e corre a perdifiato: si chiama Maurizio Sartori e dopo tanto peregrinare approda al casale dei Tasson. Nella sua inquietudine nasconde certi tratti dei personaggi di Beppe Fenoglio, come l’Ettore della Paga del sabato. Reduce di guerra, seppur disertore, quando arriva ha le idee poco chiare ma pensieri sinceri nonostante i timori di ciò che gli cambierà la vita.
I Sartori attraversano un secolo di storia italiana dal primo conflitto mondiale fino ai 2000 inoltrati, l’attraversano da protagonisti, sconfitti, illusi, compromessi, vittoriosi. Dalla provincia di Udine si spostano all’hinterland milanese, per poi raggiungere i margini dell’Europa, disperdersi e ricongiungersi.
Fontana cura tutti i suoi personaggi – per lo meno i Sartori – e ne segue le metamorfosi, gli adeguamenti, le ribellioni, le piccole felicità e le cadute. Pur essendo corposo il volume, è una lettura agevole, una scrittura che è un fiume. Mi sono persa quando la narrazione raggiunge i giorni nostri perché angosciosa, reale, precaria cosa che ho trovato stopposa quando si raccontano i ’60 e i ’70, troppo infarciti di riferimenti culturali, che a mio avviso fanno percepire il contesto ancor più distante di quanto non lo sia.
Mi verrebbe da dare un sottotitolo a questo libro: le stagioni della vita.
Keller ha un catalogo strepitoso, ricercato e di qualità. Poche volte ho fallato nella scelta della lettura. Per non parlare poi delle copertine che si distinguono da una certa uniformità classica editoriale, molto legata alla storia della casa e poca avvezza alla modernizzazione, seppur alcune sperimentazioni sono di dubbio gusto. Parere personale.
Arrivò il tempo di staccare le teste è un titolo che non nasconde nulla di macabro, ma fa riferimento a un verso del trentunesimo capitolo, senza rivelarvi troppo riguarda la raccolta dei tulipani. Così ci mettiamo il cuore in pace.
Hubert Klimko-Dobrzaniecki ha scritto di due personaggi, legati da molti punti in contatto nonostante la distanza temporale, di circa quarant’anni. La sua originalità sta nell’aver operato su due piani vocali: i pensieri di un uomo al capezzale della madre; alla narrazione in terza persona. Gli stessi capitoli, paralleli persino nella numerazione, si alternano con numeri arabi e romani.
Sono due storie che nascono sull’isola danese Bornholm, vedono due uomini alle prese con la vita, l’amore la paternità. Se uno – sapremo solo il suo cognome, Larsson – sciorina la sua esistenza, davanti alla madre inerme, compreso il livore nei suoi confronti per un atteggiamento da sempre rigido e misterioso; l’altro Horst è un biologo, sognatore, in crisi con la moglie, affrontando la questione con atteggiamento aspro e non sempre rispettoso, etico. A tal proposito si consumano scene non proprio felici.
Cosa lega questi due uomini? L’esperienza della paternità, assente e cercata. «Come funzionava quella cosa dell’amore, e come faceva a capire se era amore vero?»: i turbamenti e le complessità delle relazioni sono influenzati dalle cose della vita, compresa una guerra mondiale.
Entrambi sono richiamati su quell’isola, dalla quale è difficile allontanarsi, come una condanna.
Kaarlo Vatanen incarna il mio sogno, quello che medito da anni ma non ho il coraggio di fare: mollare tutto per una vita naturale. Mai come in questo momento lo sento una figura affine. Ma procediamo con ordine.
Vatanen è il protagonista di uno dei romanzi più noti di Arto Paasilinna, L’anno della lepre (Iperborea), all’inizio della storia è nelle vesti di giornalista con una vita organizzata ma infelice, alle prese con un lavoro che non gli consente libera espressione. E poi sbuca una lepre che gli scombussola tutto, e inizia questo viaggio on the road attraverso la Finlandia, fino a raggiungere la Lapponia, sempre con la lepre come compagna di viaggio. E non a caso è il giorno di San Giovanni, che si trascina dietro tutto il corredo simbolico scandinavo. Quell’animale sancisce la fuga dalla realtà più conformista.
Ogni capitolo è un’avventura rocambolesca, in cui ci finiscono un orso, i russi (la politica è un altro argomento forte), incendi, salvataggi: non ci si annoia.
Arto Paasilinna non risparmia i suoi connazionali riguardo alcolismo e religione, scegliendo sempre la chiave dell’umorismo.
L’anno della lepre è un racconto ciclico, come la natura che pulsa in queste pagine, tra colori splendenti di verdi e azzurri e più cupi; la possibilità di una seconda rinascita; canta lo spirito libero, il senso di inadeguatezza, la trappola di una società settoriale.
Nel cielo splendeva una pallida falce di luna, le stelle brillavano di una luce opaca nella gelida sera. Questo era il suo mondo, qui poteva vivere in pace. La lepre saltellava silenziosa sulla pista, davanti allo sciatore come una guida. Vatanen canterellava per lei.
Inventario di alcune cose perdute di Judith Schalansky, Nottetempo, 2020
Prima di noi di Giorgio Fontana, Sellerio, 2020
Arrivò il tempo di staccare le teste di Hubert Klimko-Dobrzaniecki, Keller, 2019
L’anno della lepre di Arto Paasilinna, Iperborea, 1994
Le curiosità
La storica Stampa Alternativa ha messo online gratuitamente il suo catalogo, con certe chicche anche letterarie.
Worland Piccolo Manuale Per futuri scrittori, esercizi per mettere in pratica la nostra creatività. È indicato dai 6 anni in su e nulla vieta che i giovani e gli adulti non possono farne un buon strumento. La “naturale” copertina è stata illustrata da Letizia Iannaccone. E domani inizia la campagna di crowdfunding.
Eco-logica
Oltre che per fare la spesa o portare gli oggetti, le borse in tela soprattutto quando si restringono dopo un lavaggio, possono diventare dei sacchetti per conservare la verdura in frigo, mantenendo la freschezza.
I film
Su YouTube: Little forest di Yim Soon-rye (2018).
Amzon Prime: Les amours imaginares di Xavier Dolan (2016) strepitosa la colonna sonora; L’avventura di Michelangelo Antonioni (1960); Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson (2009); Capri Revolution di Mario Martone (2018)
La canzone
Pass This On di The Knife (2003)