Di giugno ho bei momenti dell’inizio e della fine. Quando qualche settimana fa sono tornata a casa, in Calabria, nonostante il tempo molto variabile sono riuscita a godermi due giorni di mare, in particolare l’ultimo, ho fatto una bella nuotata. L’acqua era cristallina, fredda ma sopportabile dopo i primi brividi. Credo sarà la mia unica dose salina quest’estate.
Domenica scorsa invece sono stata sull’appennino, la temperatura era perfetta, zero umidità che in pianura è il flagello in qualsiasi stagione. Dopo una breve camminata ho trascorso qualche ora distesa su un prato fiorito a guardare i giochi delle nuvole, ascoltare la Natura, a leggere qualche pagina della Valle dei fiori di Niviaq Korneliussen (qui non è parlo perché sono a metà).
Oggi 30 giugno, per me l’estate finisce.
I libri
Di questo libro non racconterò alcuna trama, affido solo le mie sensazioni. Ho impiegato molto tempo prima di iniziare il lungo capitolo chiamato Annie Ernaux, anni fa avevo abbondonato Gli anni, sbagliando persino l’ordine dei libri pubblicati dall’Orma (tutti tradotti da Lorenzo Flabbi). Ero partita decisamente male. In qualche modo è stato il Nobel a darmi la spinta per riprendere gli intenti. Raramente però mi lascio influenzare da premi o riconoscimenti letterari, non perché non gli attribuisca valore, ma per non dovermi trovare a leggere il medesimo libro con tanti lettori, più per moda e risonanza che per reale interesse.
Cosa ho trovato nel Posto? Una scrittura che mai avrei pensato, ripida, senza orpelli nemmeno nei ricordi più lieti, così aderente al sentire tutta protesa davvero a fare chiarezza nella figura in controluce del padre, in contrapposizione con i cambiamenti sociali e culturali che riguardano l’autrice e la società francese. Annie Ernaux enumera sconfitte e soddisfazioni, traccia un percorso di ricongiungimento dopo gli anni di lontananza, impegnata a essere altro, a trovare una collocazione.
Ho preso molti appunti sul libro, sottolineato una miriade di passaggi: è stato un buon inizio di conoscenza.
Quaderno proibito di Alba de Céspedes (Mondadori) è tornato nelle librerie dopo decenni, finito nell’oblio dalla stessa casa editrice che l’aveva pubblicato. È la sorte che è toccata a tantissime autrici e non per scarsa qualità letteraria.
L’ho letto in un’edizione tascabile del 1967, presa a un mercatino anni fa. La scoperta di Alba è passata però da un altro libro, il suo esordio riproposto da Cliquot.
Quando l’ho chiuso mi sono chiesta come si fa a perdere tutto questo talento, a dimenticarlo.
Il 26 novembre del 1950, Valeria Cossati esce per acquistare delle sigarette dal tabaccaio, una pila di quaderni dalla copertina nera e lucida attira la sua attenzione: ma la domenica si possono vendere solo tabacchi. Quindi, quel quaderno fin dal principio è proibito e lo diventerà non solo per il contenuto, persino perché «non avevo più in tutta la casa un cassetto, un ripostiglio che fosse rimasto mio».
La stanza tutta per sé cambia di volta in volta, spesso è la cucina. E non è un caso che De Céspedes la confini spesso qui a scrivere.
L’intenzione è di appuntare pensieri senza una particolare importanza, il diario finisce poi per ospitare un’analisi puntuale, lucida dell’ambiente domestico e lavorativo, con i suoi inevitabili riflessi sociali. Sia il marito che il figlio in un modo o nell’altro difendono strenuamente quel piccolo mondo fatto di convenzioni. Sono il ritratto di un’Italia che fatica a cambiare, tesa verso il progresso solo economico.
La figura che ammette Valeria davanti alle sue contraddizioni e desideri che vorrebbe si realizzassero è la figlia Mirella, consapevole del suo ruolo e dei suoi diritti, determinata verso una vita che proceda per sottrazioni.
Valeria, quarantenne, borghese, vive a Roma, ha un lavoro e una famiglia: non è cambiato nulla da allora per le donne, forse solo le virgole.
Se c’è un termine che più di tutti catalizza la mia attenzione da farmi sussultare, fermare è Mediterraneo, aggettivo e sostantivo. E poi è soprattutto questo il periodo in cui lo ritrovo nelle mie letture. L’ultimo numero di The passenger (Iperborea) non poteva non finire nel mio raggio d’azione.
Una bella copertina azzurra come le acque del nostro mare: Mediterraneo è mio.
Ci tengo a ribadirlo ogni volta: non si tratta di guida, ma di articoli non edulcorati sul contesto preso in esame, insomma chi scrive conosce bene il paese.
Il paese in questione è una massa d’acqua che bagna tante terre, è un mare complicatissimo il Mediterraneo, il più complicato, attraversato da venti, da racconti perduti e disperati, sfruttato fino all’ultimo sasso, inquinato e depredato, conteso, capace di influire sulla Storia, sull’alimentazione. Si rincorre in queste pagine, una realtà ben lontana dal nostro immaginario fatto di blu, bianco e sole, e con questa dobbiamo confrontarci persino nel futuro più prossimo e nel presente.
Il Mediterraneo impiega tra gli 80 e i 100 per il completo ricambio delle acque: capite bene cosa voglia dire ciò.
Le curiosità
Guida alla Los Angeles letteraria
La vita di Italo Calvino in un podcast
Ecologica
Dal 2011 è attiva una campagna per sensibilizzare contro l’uso smodato e inconsapevole della plastica, è la Plastic Free July. È una sfida circoscritta al mese di luglio, o meglio un’iniziativa che ci aiuta poi a proseguire scaduto questo periodo. Ci si registra tramite form e si ricevono consigli sulle alternative alla plastica monouso.
Per tutto il mese di luglio, chi partecipa può condividere i propri progressi tramite gli hashtag #PlasticFreeJuly e #MyPlastcFreeJulyChallenge, così da vedere i miglioramenti altrui.
C’è anche questa iniziativa tutta italiana di Negozio Leggero e Cinzia Vaccaneo, Liberi dalla plastica.
Luglio è alle porte, pensiamo a un mondo senza plastica.
Il film
Aprile di Nanni Moretti (1998)