Sono tornata dalle vacanze dovrei meglio precisare, quindi mi tocca, senza pesarmi, un agosto in città. Sono tornata a casa, con una breve sosta nelle Marche, a Fermo, e poi ho proseguito verso la Puglia, scoprendo nuovi angoli.
Preferisco partire in tempi meno affollati per non dover spartire centimetri di spiaggia per ombrellone e telo, soprattutto in periodi pandemici. Poi a luglio il mare ha ancora il sapore di una primizia.
Sicuramente soffrirò la calura, ma sono ben equipaggiata: ho un album fotografico di blu.
Poi ci sarà la montagna.
I libri
Isole di Gavin Francis (Edt) ha come sottotitolo Cartografia di un sogno. E infatti bisogna leggere il capitolo omonimo, l’ultimo, per avere un quadro sull’intero volume.
Connessioni e isolamento: «ho tentato di unire i due elementi», scrive l’autore, «talvolta mi sembra di non essermi avvicinato alla soluzione del dilemma: tira e molla, città e isola […]».
L’esigenza della solitudine, le cui dinamiche sono sempre più spesso medesime ai grandi spazi, diventa una sperimentazione via via più corposa, fino a trovare il giusto compromesso,
Francis racconta l’attrazione per terre minuscole, esplora le origini di questa incessante ricerca personale, nata tra gli scaffali della biblioteca. Poi, con l’età adulta giungono le esplorazioni, insomma quel sogno non resta più sulla pagina: «ero in cerca di isole lontane».
Lembi di terra noti, sconosciuti, talvolta minuscoli da non trovare posto su una cartina ma nelle memorie dei viaggiatori sì.
La scrittura è frammentata come un’isola, si sovrappongono viaggi e esperienze, riferimenti storici e letterari, mappe antiche e moderne, immaginate, approssimative. Una connessione di geografie.
«Tutti noi abitiamo un’isola.»
Acqua di mare di Charles Simmons (edizioni Sur) mi aspettava da un annetto buono. E la scorsa estate – periodo migliore per leggerlo – mi ero dedicata a altro. Qualche settimana fa non ho pi
L’incipit è fulminante: «Nell’estate del 1963 mi innamorai e mio padre annegò». Dunque è svelato il finale e verrebbe da chiudere il libro. Come si arriva a tale epilogo? Questa è la molla che ti fa proseguire.
In una frase ci sono due sentimenti opposti: la vitalità e la morte. Come testimonia l’esergo, la vicenda è fortemente ispirata a Primo amore di Ivan Turgenev, del quale l’autore sembra essere stato ossessionato.
Michael a distanza di anni rivive l’accaduto, seppur con lo sguardo da adolescente, racconta di quel periodo trascorso a Bone Point, sulle rive dell’Atlantico, nella villa di famiglia. Sembrerebbe un’estate qualunque, forse più noiosa delle altre, ma giungono due ospiti inattese, Zina e sua madre, che porteranno scompiglio, clamore, malumori. Il ragazzino scoprirà l’innamoramento e situazioni più grandi di lui, subendo un padre brillante e una madre destinata a figurante.
Poi c’è il mare che divide la casa dalla costa e ancor di più dalla città, teatro della tragedia. «Credo di aver pianto. Lacrime e acqua di mare hanno lo stesso sapore.»
Senza svelare troppo, sul finire del libro Jazmina Barrera confessa perché ha dato il titolo Quaderno dei fari (La Nuova Frontiera) e non Diario: perché l’avrebbe costretta a troppe regole, a registrare tutto, invece in alcuni momenti si concede la possibilità di non restare fedele alle cose. Ma è proprio l’ultimo capitolo a assumere la forma diaristica nel senso più stretto del termine.
Barrera colleziona fari, non souvenir. Sa benissimo che sarà una collezione non esaustiva. Punta lo sguardo dalla parte opposta all’orizzonte marino, alla costa e da qui parte la sua ricognizione, nata da un sogno:
Mi sono messa a fare ricerche sulla storia dei fari, sulle storie dei fari. Ed è stato come quando ci si innamora, volevo portare la conoscenza del faro alle sue estreme conseguenze. Di tutti i fari. Tutto sui fari.
Per quanto l’argomento risoluti non originale – parole dell’autrice – per un lettore, invece, lo è, soprattutto per la narrazione.
La sua esplorazione (New England, Cornovaglia, Francia, Spagna) indaga il valore simbolico anche in relazione alle sue impressioni. Ciascuno capitolo apre con le coordinate e una breve descrizione del faro in questione per poi divagare. L’arrivo al faro spinge verso ulteriori legami, fino a rendere il racconto una curiosa cronaca di viaggio. Un’iconografia o mappatura che mescola felicemente Storia, arte, letteratura, memorie intime. Inutile dire che ci sono finiti dentro il faro di Alessandria (il primo), tutta la famiglia Stevenson, Virginia Woolf, Poe, Verne e molti altri riferimenti.
Non dimenticandosi dando di chi li ha abitati. La nostalgica che pervade l’intero libro, è rivolta anche ai guardiani, sostituiti, nonostante la difficoltà dell’isolamento, dall’automatizzazione.
A Jazmina Barrera invidio di aver scritto un libro simile. Avrei voluto pensarlo io. La scrittura ha sostanza e non si poggia sulla vuota enfasi di molte narrazioni di viaggio, spesso destinata a mero esercizio barocco.
Ecco dunque, i moderni Polifemo, la cui luce è al tempo stesso la voce.
Si articola in tre tempi – Casa, Partire, Tornare – L’arte di partire di Ayelet Tsbari (Nuova Editrice Berti). Nell’ultima mi sono immedesimata, identificata, crogiolata di quanta forza può scatenare una famiglia. L’ho trovata in qualche modo pacificata rispetto alle precedenti.
Le radici, lo spaesamento persino davanti alla propria storia familiare: l’autrice, nel suo memoir, ripercorre le tappe della sua vita e alcuni tasselli mancanti.
Vorrei poter fare delle domande. Vorrei sapere tutto, perché più cose conosco, più mi sento a casa nella mia pelle, perché star qui, immersa nella mia cultura e nella mia storia, mi dà un punto di riferimento, mi riporta alla vecchia versione di me stessa, a quella che è rimasta indietro quando ho scelto di partire. Mi lega a quelle donne che sono venute prima e le cui storie non sono mai state raccontate.
È un libro di fughe, come recita il titolo, come fosse una performance artistica che ha bisogno di essere rinnovata.
C’è un elemento scatenante, terribile, che viene circoscritto sul finale, che muove il suo peregrinare convulso. Da Petah Tikva, a New York, India, Canada, Sud est asiatico, in un continuo articolarsi di mondi, eccessi, incontri, libertà. Poi accade qualcosa di inatteso e la prospettiva si ribalta, le domande affiorano senza risposte fino a quando non decide di affrontarle a viso aperto: dalle origini yemenite, una minoranza che ha avuto scarsa considerazione in Israele (nel libro sono elencati episodi terribili perpetrati ai loro danni), alla scrittura e alle scelte e a pregiudizi secolari.
L’altro grande tema che si riconnette inevitabilmente ai precedenti è la memoria, così scarsa nel ricostruire arzigogolati alberi genealogici ma così vitale nei profumi della cucina e nelle ricette tramandate oralmente da una generazione a un’altra, in una connessione puntuale di termini e identità.
Ayelet Tsbari ha il volto luminoso. Osservandola durante la presentazione del libro lo scorso mese, a Piacenza, non avrei mai detto che ha avuto un passato così denso.
Nel 1999, l’agronomo Peppe Lo Pilato mostra, a Giuseppe Barbera, il degrado in versa la Valle dei Templi di Agrigento, in particolare tra i templi di Dioscuri e di Vulcano. Sono ancora visibili, nonostante tutto, i segni di un antico giardino fruttifero. L’epilogo della vicenda è tutta da leggere.
Il giardino del Mediterraneo di Giuseppe Barbera (Il Saggiatore) è una lettura millenaria del paesaggio, come cita il sottotitolo da Omero all’Antropocene. Gli spazi sono antropizzati, persino il termine naturale risulta contradditorio, non veritiero alla luce delle trasformazioni in atto.
Barbera viaggia, perché di questo si tratta, in alcuni luoghi simbolo della Sicilia, sua terra di elezione, ricchezza di biodiversità autoctona e esotica; ne traccia latitudini, metamorfosi, documenta processi inevitabili e condannabili, elenca la Natura.
Insiste molto su un concetto: il paesaggio, va ben al di là del valore estetico, è il risultato, compromesso, di lavoro umano, visioni, fenomeni geologici e biologici, storia e cultura. E per ciò mai definito, né definitivo, ma in continuo movimento.
Bellezza e utilità: il giardino è in primis un orto.
E per storicizzarlo chiama all’appello una ricca letteratura, persino artistica, testimonianza di che ha abitato, viaggiato, studiato l’isola.
La prosa è elegante, raggiunge spontaneità quando è lo stesso autore a diventare protagonista. Tuttavia, non condivido il frequente citazionismo, anche se comprendo il senso che rimanda alla tesi di fondo.
Le curiosità
Creare una mappa interattiva su qualsiasi argomento
Eco-logica
Tempo di partenza e di capire cosa infilare in valigia. Mi soffermo sui detersivi domestici, soprattutto se andiamo in una seconda casa o appartamento. Trascuriamo questo aspetto. Le soluzioni possono essere i saponi solidi per il bucato e stoviglie, occupano poco posto e sono leggeri (alcuni esempi da Negozio leggero, Officina Naturae, Tea Natura, Green Tribù, Insula o nelle botteghe sfuse). L’altra alternativa, soprattutto se le vacanze saranno brevi, di travasare piccole quantità degli abituali detergenti, in piccoli contenitori di vetro. Esistono le versioni concentrate, così non si spreca nulla.
La canzone
Tears dry on their own di Amy Winehouse (2009)
Il film
Un amore di gioventù di Mia Hansen-Løve (2012)