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Le mie letture

Grande come l’universo di Jón Kalman Stefánsson

Si sorvola l’Islanda, quella di Jón Kalman Stefánsson, gelida ma consistente e si atterra nella remota Keflavík, che si illude di sostenersi con la presenza dell’esercito americano. Siamo ancora qui a parlare di Ari: con Grande come l’universo si scava in profondità, per riportare alla luce le radici del suo albero genealogico.
Quest’ultimo libro, che chiude la saga, accentua ancor di più le fattezze di romanzo corale e familiare dove le voci dei protagonisti si fanno distinte e vibranti.

Quando Ari arriva nella cittadine islandese ha lasciato alle spalle moglie e figli in Danimarca per recarsi dal padre in fin di vita. È stata la sua matrigna ad avvisarlo attraverso una lettera che ha aperto solo quando ha messo piede in patria.
Se nei Pesci non hanno gambe si ricalcano i contorni, il contesto, ora si scivola nella rete intricata, si comprende ancor meglio la difficoltà delle scelte, della stessa esistenza: Stefánsson «ha trasformato le avversità in letteratura».
E Ari inconsapevolmente risale alle origini di quella infelicità, destino della sua infanzia e dell’età adulta. Al suo cospetto si presentano Oddur e Margrét. La genesi.
Si riavvolge il nastro e ci si intrufola in queste vite, si ricerca un senso dei loro gesti. Oddur scova nella vastità del mare la comprensione che non trova sulla terraferma, tra le mura domestiche; Margrét impara qualcosa dalle stelle.
Oltre al vento, al mare e all’eternità c’è un altro punto di riferimento, le stelle: Margret si orienta nel l’oscurità, forse ha trovato uno spiraglio, uno sbocco d’aria. C’è un comune destino ma forse Ari ha qualche chance in più per interrompere quei fallimenti generazionali. Le tante questioni che affollano la mente di Ari troveranno una risposta sconfiggendo la vigliaccheria. Chi narra pone gli interrogativi più spinosi con i quali è necessario confrontarsi, non sappiamo se Ari in questo lungo processo di analisi avrà delle risposte ferme ma dipanerà il tanto intricato gomitolo della matassa.
Pagina dopo pagina si sbriciola la felicità che ha unito Oddur e Margrét, Ari e Jakob prima che un tonfo sordo li destasse dal torpore. Prima che le stelle spariscano bisogna raccogliere il testimone, tentare di vincere sull’oscurità.
La morte ha uno spazio proprio, si addensa intorno alle cose e langue la sua presenza, forse la reclama.

Le poesie sono una bella cosa, si possono usare come coperta quando nel mondo fa freddo, possono essere grotte scoperte al di fuori del tempo, con strani simboli sulle pareti, ma hanno ben poco da dire se le ossa sono stanche, se la vita ti ha scartato e la tazza del caffè è l’unica cosa che ti scalda le mani la sera.

Le poesie salvano dalla morte, valgono forse più dell’anima, un antidoto contro l’aridità dopo il suo passaggio.
Anche Margrét ne ha uno e vorrebbe che Þòrður ne seguisse le tracce, sa che si sconterà con i piani di suo marito, però bisogna assecondare il talento. E proprio quel talento sarà motivo di conflitto tra Jakob e Ari.
Margrét e Ari piombano nel buio, ma ci sono le stelle a lenire le ferite, una luce viva e costante.

Le stelle le vedi soltanto al buio. La mamma diceva che così ci ricordavamo che il buio non riesce a spegnere ogni luce. Infatti le stelle risplendono più forte nei mesi invernali più opprimenti. Così diceva a volte. La mamma.

Il cielo custodisce  racconti antichi, anche i loro che hanno gli occhi di una madre e di una donna, di un bambino e di un sogno.

È proprio così che vanno le cose, la storia del mondo va in una direzione, quella del singolo da tutta un’altra parte, per questo dovrebbero esistere almeno due edizioni ugualmente corrette della storia del genere umano.
Ma è arrivato il momento della pausa caffè.

 

Titolo: Grande come l’universo
Autore: Jón Kalman Stefánsson
Editore: Iperborea
Traduttore: Silvia Cosimini
Pagine: 448
Anno di pubblicazione: 2016
EAN: 9788870914658
Prezzo di copertina/ebook: € 19,00 –  € 9,99

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