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Le mie letture

I gatti non hanno nome di Rita Indiana

È una bella sensazione quella che ti lascia I gatti non hanno nome di Rita Indiana (che poi un cognome così lo vorrei io): ha la freschezza di un ghiacciolo alla menta e l’intimità di una confidenza.
Più penso a questo libro, anche a distanza di giorni, più mi piace. E poi NN confeziona libri bellissimi, quello che ho letto fin’ora non mi ha mai delusa.

Ritornando al libro, è difficile sintetizzare una trama ricca, dove la banalità non è contemplata ma ogni evento ha una luce, una risata unica.
Spiccano con pennellate decise i personaggi di Rita Indiana, una galleria di ritratti strampalati contornano situazioni spesso esilaranti: Zia Celia, architetto dal piglio militaresco e dal cuore d’oro quando le conviene, nei giorni fumantini mi potrei identificare senza troppi problemi; Zio Fin, veterinario che vive in mondo pacato e parallelo, ha un segreto che torna a galla; Radamés, un haitiano clandestino, appare e scompare all’improvviso, sul suo volto si legge l’antica storia dell’immigrazione e dello sfruttamento; la nonna, cantastorie di epiloghi ogni volta differenti, dimentica volentieri il presente ma ricorda il passato. E infine, l’io narrante. Una voce e un racconto allo stesso tempo. La protagonista è una adolescente, durante l’estate lavora nella clinica dello zio, osserva e partecipa ai trambusti familiari e annota su un taccuino i possibili nomi da dare ad un gatto che gironzola nei dintorni. Nucleo, Peter, Lilliput, Canfora, Eva, Lucia, Odino, persino il proprio ma non sapremo mai come si chiamino né il gatto né la ragazza. Si lascia suggestionare da ciò che sente e legge, siano solo suoni armoniosi e privi di senso.

Prima che mi guardi dico il nome che ho scelto, ma quello rimane lì con il respiro regolare e impercettibile di una statuina di ceramica a buon mercato. Tirare fuori il nome adesso è stato uno spreco, so benissimo che la ceramica è ancora più refrattaria ai nomi di quanto lo siano i gatti.

C’è tanta musica, persino Jovanotti, e un’atmosfera caraibica che non ha nulla a che vedere con i villaggi vacanza, che si esprime attraverso ritmi sinceri e le storie magiche della domestica Armenia e della nonna. Anche la lingua si ascrive a questo percorso, è fluida e diretta, ricca di metafore curiose e puntali, non risulta artificiosa, segue la sintassi della protagonista.
I gatti non hanno nome è un romanzo di formazione e conoscenza. Chi narra scopre tanto di se, che non aveva mai pensato o vissuto, vivendo con tutta l’immensità e la leggerezza dei 14 anni. La sua vita si intreccia con quelle degli altri, le incomprensioni si azzuffano con la felicità. Con gravità Radamés la ammonisce, disapprova il suo gesto: «ci sono cose più importanti di un nome». Può darsi. Ma se quella ricerca significasse qualcosa, come definire anche le rivelazioni, etichettarle senza ambiguità? Il gatto è sfuggente, anche lei lo è. Ecco perché la ricerca del nome è un’indagine sulla propria identità in un tempo così delicato, di crescita interiore.

Nel momento in cui credo di averlo trovato quello ideale e mi avvicino di soppiatto attendendo dentro di me il segnale per pronunciarlo, per chiamarlo, tutto può succedere. Sebbene non risponda mai, o quasi mai, è possibile che lo faccia, che un giorno io dica Sebastiàn, Alì o Muni e lui riconosca uno di questi nomi come suo e, come le particelle ferrose nella terra di un giardino, aderisca infine alla mia calamita.

 

Titolo: I gatti non hanno nome
Autore: Rita Indiana
Editore: NN
Traduttore: Vittoria Martinetto
Pagine: 172
Anno di pubblicazione: 2016
EAN: 9788899253202
Prezzo di copertina/ebook: € 16,00 – € 7,99