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Il fondamentalista riluttante di Mohsin Hamid

Il fondamentalista riluttante di Mohsin Hamid è un’intelligente riflessione sul clima di tensione venutosi a creare dopo l’11 settembre. Qui non troverete accuse nei confronti dell’uno o dell’altro blocco, lavaggi di cervello o cose simili, ma tutto troverete tutto lo smarrimento di un ventenne all’indomani degli attentati.

È un dialogo, o meglio monologo, mai noioso, serrato e scorrevole tra il protagonista e il giornalista (forse) che lo sta intervistando a Lahore. Proprio perché l’interlocutore non viene mai svelato, fa pensare a una lunga confessione, alle tessere di puzzle da riordinare.
Il Pakistan è raccontato anche attraverso i sapori e i piatti consumati, il profumo del gelsomino, gli edifici adiacenti al ristorante: quasi una sorta di madeleine per Changez che ricorda ciò che la vita newyorkese aveva cancellato.
Changez è un pakistano che ha frequentato Princeton, una delle migliori università americane e ha una preparazione che gli consente di lavorare per un’importante società finanziaria. A New York vive nel quartiere pakistano, che è un po’ come tornare a casa, ma anche sentirsi “immediatamente newyorkese”: è introdotto nell’alta società, sorseggia drink a TriBeCa e conosce Erica, ragazza che rivelerà una personalità affascinante quanto fragile.
Tutto scorre freneticamente fino al giorno degli attentati diventando motivo di ripensamenti verso il paese adottivo.
«La distruzione del World Trade Center aveva rimesso in circolo vecchi pensieri che in precedenza erano depositati come sedimenti sul fondo di una palude” da una parte e dall’altra del mondo. E non c’era più nulla da fare». Tutto ciò manifesta un’integrazione superficiale che rivelerà via via risvolti sempre più tragici. All’indomani degli attentati anche la sua persona fisica viene messa in discussione: la sua barba che comincia a crescere diventa sinonimo di terrorista perché gli altri lo hanno presto identificato in uno stereotipo ben preciso.
In Changez cresce un certo orgoglio, comincia trascurare il lavoro per prestare attenzione alle minacce di guerra indiane al Pakistan. La rabbia che si intensifica ogni giorno lo allontana dal concentrarsi sui fondamenti e lo costringe a prendere una decisione drastica.
È un giannizzero rinvenuto, come viene spiegato dallo stesso Changez, che ha combattuto ma non ha mai dimenticato le proprie origini. Lui che è un prodotto americano con un’istruzione, un lavoro e una vita così standardizzata, diventa di colpo un antiamericano, un fondamentalista riluttante, più legato al sentirsi straniero e di non riconnettersi più con il passato. Vive una tale confusione anche quando torna a Lahore per un breve periodo, non riconoscendosi in quel mondo così familiare e ritrovandosi ad essere in bilico tra due realtà diverse.
Io non ero in guerra con gli Stati Uniti. Anzi, ero il prodotto di un’università americana; stavo guadagnando un lucroso salario americano; ero infatuato di una donna americana. Perché allora una parte di me desiderava il male degli Stati Uniti? Non lo sapevo; sapevo solo che i miei sentimenti sarebbero stati inaccettabili per i miei colleghi, e mi sforzai di nasconderli più che potevo.
In queste parole si trova la trasformazione di Chanzeg, da ammiratore del sogno americano a deluso e infine arrabbiato. Anche Erica contribuisce a rendere inattuabile questo sogno: è irraggiungibile come il passato che vive costantemente in lei facendole perdere del tutto il senso della e con la realtà. Entrambi hanno personalità fragili che sono riusciti a tenere nascoste grazie alla loro riservatezza: ma quando tutto esplode, anche loro sono esplodono e da quelle macerie non riescono a costruire nulla se non farsi ulteriormente male.
La scrittura è viva, che non lascia vuoti è un breve percorso a perdifiato lungo la vita di Chanzeg. C’è in tutto il racconto una certa tensione che non si scioglie neanche nell’enigmatico finale. Giocano diversi fattori a rendere interessante: il protagonista sospettato per le origini, le sue posizioni antiamericane e ma anche per questa storia d’amore immaginaria.
Ho letto il libro con una certo coinvolgimento e l’ho trovato in certi punti avvincente. Non cade in facili sentimentalismi o luoghi comuni. Con uno stile efficace ed incisivo, Hamid riesce a cogliere bene lo squarcio venutosi a creare nella difficile relazione tra l’America e l’Islam dopo l’11 settembre, ma soprattutto la percezione che ne deriva dagli individui, palesando la frattura insanabile tra Occidente e Oriente.
Forse ho trovato insopportabile per tutto il libro questo dialogo fittizio e incessante con un personaggio silenzioso. Comunque il libro è di piacevole lettura e non vi annoierete mai.
 
Titolo: Il fondamentalista riluttante
Autore: Mohsin Hamid
Editore: Einaudi
Pagine: 138
Anno di pubblicazione: 2007
EAN: 9788806187101
Prezzo di copertina: 14,00 – € 9,50
Disponibile in ebook: € 6,99