I bianchi quando scrivono degli indiani, fanno sempre, o quasi sempre, del sentimentalismo.
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E così fanno tutti quanti, dagli antropologi ai trascrittori di miti. In tutti si ritrova la strisciante nota sentimentale che ci fa stringere nelle spalle e mandare gli indiani al diavolo nel mucchio delle romanticherie.
Bisogna sgonfiare l’indiano come bisogna sgonfiare il cowboy. Quando il cowboy è sgonfiato non ne resta nulla. Ma la romanticheria indiana non è invenzione dell’indiano. È nostra.
Per i bianchi è quasi impossibile avvicinare l’indiano senza sentimentalismo o senza avversione. Il bianco comune, voglio dire volgare e sano, prova sempre una certa istintiva avversione per questi tambureggianti aborigeni. E l’avversione si muta sempre in sentimentalismo.
Se c’è un brano in grado di mettere a fuoco il resoconto di D. H. Lawrence nel nuovo Messico è Divertimenti indiani, di cogliere pienamente il senso della sua osservazione limpida e puntuale.
È il rimprovero nei confronti di quanti si accalcano accorrono alle danze indigene. Si accalcano sui tetti, nei balconi dei locali pur di assistere allo spettacolo. Perché di questo si tratta ai loro occhi. Non afferrano il significato di quel contorcersi, della rappresentazione, come quell’esperienza ancestrale sia collettiva in una percezione del cosmo e della religione priva di gerarchie, in una comunione con la vita, che è sorgente prima di tutto. Colgono solo l’elemento folcloristico, un fenomeno da baraccone. A sipario chiuso si affrettano a raggiungere le automobili. In pochi minuti.
Quando Lawrence apre questo racconto è mattina, manca una settimana a Natale, si trova a sud di Santa Fè, a Oxaca nella contea di Taos, ha dimora presso il Kiowa Ranch. Soggiorna in Messico più volte tra il 1922 e il 1925, ammalato di tubercolosi trova riparo nel clima mite del luogo.
In Messico (Nuova Editrice Berti) prima ancora di considerarlo un diario di viaggio, è uno studio antropologico sugli indigeni, il cui nucleo originario è nel Serpente piumato.
Le città si esauriscono in poche vie, il nulla è a una manciata di metri. Difficile orientarsi, non ci sono punti di riferimento, come l’assenza del tempo per il popolo indiano.
Gli uomini del pueblo, piccoli di statura e di bianco vestiti, hanno facce sospettose, «lo sguardo col quale Edgar Allan Poe dovette guardare il suo famoso corvo».
Ma in quel torpore i rumori sono acuti. Il rumore è quello del mercato di Oxaca – «il bizzarro mormorio fischiante dell’idioma zapoteco striscia tra gli accenti sonori dello spagnolo, tra le voci tranquille, appartate dei mexicates» -; dei divertimenti indiani, pulsanti come a cercare il ritmo della terra.
Gli antichi riti, apparentemente bizzarri e così lontani dalla modernità, sono intesi se si distrugge la nostra idea di divertimento fine a se stesso, come puro appagamento individuale. Qui diventano un esercizio e un mistero. Ed è il mistero la chiave che apre la porta della comprensione. Ma pare trovare una certa somiglianza nei raduni contadini, al calar della sera, tra canti e balli.
Osserva con meraviglia, distacco per meglio narrare quello che ha intorno: Lawrence affina lo sguardo e risponde a quanto i sensi gli trasmettono. Segue i movimenti, ascolta i ritmi che rispondono a una «selvaggia esaltazione di luce».
Pare essere catturato, folgorato da quel simbolismo espresso nella danza, trasportato in uno stato febbrile e lucido allo stesso tempo. Tanto da sentire il richiamo forte nelle notti mediterranee fino a diventare, passatemi il termine, un “mal del Messico”, al pari di quanto accade ai viaggiatori che hanno conosciuto il continente africano. Lawrence da questa malattia non è mai guarito.
Fino all’ultima pagina c’è la terra arida e bruciata del Messico alzata da vento. Il cielo di un azzurro aspro, alcalino.
Si sente un lieve odore di garofani, e infatti eccoli, sono la cosa più vicina. Ma c’è anche un resinoso odore di legno di ocote, un profumo di caffè, e un lieve sentore di foglie, di mattina, e anche di Messico. Perché alla fine il Messico ha un leggero odore fisico tutto suo, come ogni essere umano.
Titolo: In Messico
Autore: D.H. Lawrence
Editore: Nuova Editrice Berti
Traduttore: Brunella Gilda Arena
Pagine: 140
Anno di pubblicazione: 2015
EAN: 9788873646426
Prezzo di copertina: € 16,00