Categorie
Le mie letture

Melodia della terra di Tschingis Aitmatov

Sullo sfondo c’è la linea d’un cielo appassito d’autunno; il vento, sopra una lontana cavalcata di montagne, mette in fuga rapide e piccole nubi pezzate. In primo piano, col suo color bruno rossastro, la steppa degli assenzi. E la strada, scura, che non ha avuto il tempo di seccarsi dopo le piogge recenti. Ai lati, aridi arbusti si serrano spezzati.
Lungo il solco zuppo della strada vengono ad allinearsi le orme di due viandanti; più si allontano più sono deboli; i viaggiatori, poi, si direbbe con un passo debbano uscire dal fondo. Uno dei due… ma io anticipo.

È un quadro rimasto incompleto per anni, se non che ha preso forma nella mente di Seit, che ha delineato profili e colori. A distanza di anni, sulla tela riordina quanto i ricordi non hanno offuscato
Melodia della terra di Tschingis Ajtmatov (Marcos y Marcos), una novella che prima ancora di parlare d’amore, concede la sua partitura.
È Seit a prendere la parola, a narrare di Giamilija e Danijar, in quel villaggio al di fuori del tempo, mentre più in là si combatte la guerra contro i tedeschi. Dai sentieri amari, sono partiti in molti nelle truppe dei Rossi. Qui le notizie giungono a singhiozzi, la percezione del conflitto è labile, forse un motivo per infarcire di imprese i racconti.
Kurkureu, come il fiume che scorre accanto, è vicino al confine cinese, intorno vivono tribù nomadi.
Giamilja, dai neri occhi a mandorla che viravano verso il blu, è una giovane spensierata e concreta è sposata con Sadyk, fratello della voce narrante, che è combattente.

Un giorno giunge dal fronte Danijar, dall’inaccessibile silenzio, tanto che i più piccoli si fanno burla di lui.
«La guerra, dici?» domandò; e come rispondendo a un suo pensiero, aggiunse rapidamente: «No! Meglio per voi non saper niente della guerra!»
Instancabile lavoratore, si trova a contatto con la donna e il ragazzo, ai quali sono dati in custodia i cavalli e il trasporto del mais.
Sono notti d’estate, armoniose, cariche di nostalgia e di inquietudine.
«Ehi, tu, Danijar, quando ti deciderai a cantare qualcosa? […]»
«Canta, Giamilija, canta!» ribattè Danijar confuso, trattenendo i cavalli, «T’ascolto, son qui tutt’orecchi!»
Giamilija non si tira indietro, canta, smuove qualcosa in Danijar e così anche lui intona una melodia, suadente, inedita:

In essa non c’erano quasi parole, essa apriva senza parole l’anima profonda dell’uomo. Né prima, né dopo, mai ho udito una canzone simile: non somigliava né alle canzoni kazake, né alle canzone kirghise, ma c’era in essa qualcosa delle une e delle altre. La musica di Danijar portava in sé tutte le più belle melodie dei due popoli fratelli e le fondeva in una sola canzone impossibile a ripetersi. Era una canzone dei monti e delle steppe, che ora s’alzava sonora come i monti kirghisi e ora si stendeva senza barriere come la steppa kazaka.

È il canto di un innamorato, anche per la vita e la terra, costantemente insidiata dall’ingratitudine umana. L’aria si addensa di profumi soavi e confortanti di mele, latte, miele nell’oscurità d’agosto che ascolta stregata.
Ma quella notte per Seit sancisce la fine dell’infanzia, il primo vero contatto con la complicata vita adulta e con dinamiche relazionali che difenderà scontrandosi con i principi che tutelano la famiglia e la tribù.
Il salice e i pioppi ingialliscono ai primi freddi: di colpo è arrivato l’autunno.

 

Melodia della terra di Tschingis Aitmatov, Marcos y Marcos, 2017