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Le mie letture

Mi racconti il Mediterraneo?

«Che cos’è il Mediterraneo? Un mare interno […]. Un piccolo spazio d’acqua che la storia e la geografia hanno reso il mare interno per eccellenza: «il mare tra le terre», il Mediterraneo, appunto.»
Tre milioni di chilometri quadrati, dalle Colonne d’Ercole al Bosforo, correnti e venti, storie e civiltà sulle quali si fondano tre termini: scambio di saperi, ritualità e merci; navigazione tra approdi, naufragi e mostri marini; migrazione come rifugio e schiavitù.
Durante i secoli hanno subito sottili variazioni, soprattutto l’ultimo è il nervo scoperto dell’Europa che si riscopre chiusa già nel dibattito estraniante e violento noi/loro.
In Storia del Mediterraneo in 20 oggetti di Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli, al capitolo Valigia, ricordando i nostri connazionali al porto di Genova pronti a salpare verso l’America, si legge: «qualcuno dice che non è la stessa storia che le migrazioni sono tutte diverse. E da un certo punto di vista avrebbe ragione: perché la storia, in fondo, non si ripete mai davvero. Ma è lo stesso mare ed è la stessa umanità. E a noi questo basta.»

Immaginiamo l’aromatica vegetazione, la luce che ferisce gli occhi, il bianco delle abitazioni pugliesi e greche, il blu che rinfranca i pensieri, un’eterna estate in contrapposizione al buio Nord.
Le coste sono riflessi di religioni, culture su una distesa azzurra che ha avuto nei millenni un ruolo importante: quanto fosse splendido questo mare color del vino ce lo dice Omero fino ai polverosi specchi dell’estate di Ungaretti.
Il Mediterraneo è in primis una rete. Non è mai stato un mare chiuso, nonostante la sua conformazione raggomitolata e i futuri cambiamenti geologici; e la rete, strumento di pesca, rappresenta l’eredità culturale, l’economia e il lavoro, i rapporti sociali e la quotidianità.
Ma non solo. Venti gli oggetti, quali la bussola, la rete, la fontana, l’abaco, per raccontare il passato remoto e comprendere il presente. Ciascuno nasconde curiosità, piccoli aneddoti incredibili, a ribadire come la trasmissione della conoscenza è una ricchezza collettiva. Senza edulcorare tuttavia epoche di conquiste e spargimenti di sangue, ma sottolineando una possibile convivenza pacifica. Un libro appassionante, svincolandosi dal genere manualistico e raggiungendo in alcuni passaggi una finezza narrativa.
Chi naviga per mare raccontare è una priorità.

Robert Macfarlane sostiene nelle Antiche vie che il mare è un cumulo inestricabile di sentieri sull’acqua marina, di cui non rimane traccia, rotte che conservano memoria attraverso tradizioni, linee tratteggiate sulle mappe, storie, canzoni, diari di bordo. Un importante corredo letterario popolato da tante creature diventate leggendarie.

Le sirene hanno abitato il mito ancor prima che i mari – il cui nome è riferito al canto e alla prova di resistenza di Ulisse per non cadere in balia del mortale maleficio. Passano da mezze arpie a mezzi pesci, da portatrici di morte a seducenti figure. Esseri metamorfici. La sirena, dunque, è il mostro che nel passato più lontano trova dimora nel Mediterraneo, in particolare Capri e dintorni. E solo a Partenope sarà consentito di trovare la morte nel golfo dell’odierna Napoli.
L’Odissea è il primo testo a lasciare testimonianza, senza tuttavia definirle nell’aspetto, perché tutto il loro potere è nel canto che stordisce e porta alla perdizione.
Un mito scandagliato in tutte le sue sfumature, avvalorato nella letteratura, nell’arte, nella musica, rincorso nella scienza proprio perché inafferrabile. Restano i comuni denominatori: ignoto e inspiegabile, immaginario e reale. L’Atlante delle sirene di Agnese Grieco è ben progettato per documenti visivi, riferimenti scientifico-letterari, suggestioni che invitano a un viaggio sentimentale che apre con L’Iguana di Anna Maria Ortese.
Ma i mostri che saccheggeranno il Mediterraneo saranno più spaventosi.

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Quando l’agente Evangelos viene contattato per un omicidio (L’ultimo caso dell’agente Evangelos) è costretto ad abbandonare Atene i progetti per la serata, per dirigersi verso il confine tra la Turchia e la Grecia divise dal fiume Evros, che corre per circa centocinquanta chilometri nel Nord-Est, una frontiera porosa, «il colabrodo dell’Unione Europea, una voragine nell’accordo Schengen-Dublino».
Più in là la zona militare e un bordello, un cartello in lettere rosa, segna rapporti di passaggio e l’inizio della storia. Siamo lungo la rotta terrestre che collega l’Oriente con l’Europa.
A noi non importa in questo caso della risoluzione del giallo, della testa mozzata di un occidentale e della danza delle Baccanti. Perché attraverso un episodio di cronaca apparentemente distante dai grandi centri di potere e dalle vie marine scelti dall’immigrazione, lo scrittore Nicolas Verdan mette in luce le speculazioni sulla pelle dei greci e dei migranti, la corruzione presso le alte sfere politiche: la frontiera è un affare. Tutto si consuma attraverso un gioco di illusioni, ricatti, denaro sulle spalle di chi tenta di oltrepassare quel confine.
«Arriva, in questa parte del mondo, un dolore. Ogni notte s’insinua silenzioso nel corso dell’Evros».
Ed è lo stesso Evangelos ad aver ereditato un pezzetto di storia familiare, la forzata partenza da Smirne nel 1922 (Kátastrophi): «parole e timbri per dire che sono stranieri a casa loro».
Nel frattempo è il 2010 e l’Europa ha chiesto ad Atene misure drastiche per ridurre il debito pubblico. Evangelos si chiede: «A cosa si può credere oggi?»

È bene non lasciarsi incantare dalle spiagge bianche, dalle acque turchesi, canti di sirena che distolgono l’attenzione da quanto accade in Grecia (la cui situazione non è dissimile dalla nostra). Gioie e dolori di un lascito antico in frantumi.
Nel libro di Verdan, Nikolaus Strom incarna proprio la nuova oligarchia che, attraverso ambigui rapporti con il potere straniero, compra a pochi spiccioli una nazione. Porti, isole, banche. Pezzi d’identità. «Il resort d’Europa». Per trascinarsi dietro la corruzione, la politica, la crisi. O forse la crisi è solo una scusa per non curare un paese da questi mali atavici. Quel che si legge in alcuni articoli di «The Passenger», che vede il contributo di diversi autori, è un meccanismo ben collaudato da secoli incidendo sulla qualità di vita degli stessi ellenici.
Questa terra è un esempio rilevante per capire le conseguenze del crollo finanziario, dell’immigrazione, dei primi germi di spinte autoritarie, delle urbanizzazioni senza criterio.
«I turisti che affollano Atene e quanti hanno imparato a conoscerla attraverso la letteratura e l’immaginario, più che con la razionalità, fanno caso a questo giacimento prezioso?»
Atene, come tutta la Grecia, è un costante racconto mitologico, è descritta sempre come una protagonista tragica che supera l’atemporalità, attraverso snervanti corrispondenze con l’attualità.
Ci sono tuttavia sfoghi positivi quali il nuovo cinema greco con una produzione decisamente contemporanea che sovverte l’ordine prestabilito, inattese stelle dell’NBA, la riappropriazione del rebetiko, che definirlo canto popolare è riduttivo (anche Vinicio Capossela gli ha dedicato l’album Gymnastas). Dalle isole più remote arrivano le narrazioni più insolite, il lusso della lentezza, lo slancio umano che vede nei termini xenos (straniero) e xenìa (ospitalità) una connessione positiva. Ulisse, il migrante per antonomasia, riceve qui un bicchiere d’acqua, mentre attende la bonaccia. Davanti una distesa ricca di storie.

«Mi racconti il mare?»

 

Storia del Mediterraneo in 20 oggetti di Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli, Laterza, 2018
Atlante delle sirene di Agnese Grieco, Il Saggiatore, 2017
L’ultimo caso dell’agente Evangelos di Nicolas Verdan, Nuova Editrice Berti, 2019
Grecia – «The passenger magazine», Iperborea, 2019

 

Approfondimenti:
Medfilm festival
Prix Méditerranée
Sapiens – un solo pianeta: il Mediterraneo di Mario Tozzi, Rai3
Marsiglia di Massimo Morello in «Rivista Studio», 5 agosto 2013
Towards a history of mediterranean noir di Sandro Ferri in «Crime Reads», 20 aprile 2018
Fuocoammare di Gianfranco Rosi, 2016

 

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