Di questo febbraio non ho nulla da raccontare, nulla. È scivolato senza sentimento, anzi ho vissuto molti subbugli interiori e spero solo che mi diano slancio, una nuova carica. In qualche modo, il mese prosegue l’agonia del precedente, scollandoti dalla realtà e continuando a vivere in un limbo nell’attesa di giorni luminosi, quel momento di frastornamento mattutino mentre si sorseggia il caffè.
I libri
La prima cosa che mi ha colpita di questo libro è la copertina: un’acciuga a un amo di luna. Poi c’è un cielo stellato che potrebbe essere mare. Non so se questa illustrazione di Shout (per le Cinque Terre) sia pertinente, però mi piace. E neanche più mi chiedo se ci sia un legame con il contenuto del libro.
Poi si sono immersa nella scrittura ariosa di Gudrún Eva Mínervudóttir.
Metodi per sopravvivere (trad. di Silvia Cosimini, Iperborea) ha quattro voci – due adulte e due fanciulle – che si intersecano pur non conoscendosi.
I protagonisti sono delineati per sottrazione, per il fardello che si portano sulle spalle, la solitudine su tutti. Hanna, a mio avviso, è la guida di questa narrazione, che aiuta pur avendo bisogno di altrettanto aiuto, per una speranza che si rivela pagina dopo pagina.
Ogni volta che le persone mostravano la loro natura contraddittoria io maturavo e diventavo un pochino più adulta. Sotto la superficie ferma prendeva forma la mia capacità di comprendere. Niente a che vedere col giudicare gli altri, secondo me. Era solo un metodo per sopravvivere.
Forse ricorda (anche se mi rendo conto dell’assurdità di fare continuamente paragoni) a Luce d’estate ed è subito notte di Jón Kalman Stefánsson. Però bisogna dimenticare le tipiche atmosfere islandesi, paesaggi ghiacciati, vento sferzante, un qui che potrebbe essere ovunque.
Me l’aveva consigliato qualche lettore su Instagram, purtroppo non ricordo chi, ma lo ringrazio anche qui. Ho tergiversato per più di un anno prima di decidermi a leggerlo, perché demotivata e per un pregiudizio di stile, credendo di trovarmi davanti a un diario di viaggio ammorbante, invece rivelatosi il contario.
Parlo di Una donna nella notte polare di Christiane Ritter (trad. di Scilla Forti, Keller). L’autrice, un’artista austriaca, segue l’invito del marito esploratore a trascorrere tutto l’inverno a Spitsbergen, l’isola più estesa dell’arcipelago delle Svalbard.
Ignara del quel che vivrà, documenta il progressivo adattamento a latitudini estreme per una donna abituata a tutt’altri ambienti, andando incontro a una quotidianità tutta da programmare
Fa sorridere la preoccupazione per la carenza di vitamine e nutrienti. Sono riportate immagini poco ortodosse di sopravvivenza, ma è il 1934 e bisogna contestualizzare quel che si legge. Lo dice Ritten in un punto, quando dichiara che le spedizioni scientifiche sono meglio organizzate rispetto alle esplorazioni, che per tutto il tempo trascorso lassù ha guardato in faccia la selvatichezza più acuta della Natura.
Però l’autrice ha una forza d’animo smisurata, uno sguardo curioso di scoperta e fascinazione:
Ci sembra di essere su un altro pianeta, in uno spazio che non è quello terrestre, dove le montagne luminose riposano in un silenzio senza nome e la luce parla una lingua carica di pathos.
[…] La terra e le scogliere, che in questo quadro di immensa vivacità sembrano unite in un unico blocco, si ergono bianche e sfavillanti dal mare nero allo scurissimo cielo notturno.
Il ghiaccio assoluto, le montagne, bufere inimmaginabili, le sorprendenti aurore boreali, le migrazioni: dunque una terra viva avvolta dall’incantesimo della notte polare.
«L’Artide è la parte del mondo in cui il cielo sfiora la Terra. Non tutti sopportano la luce infinita».
I capitoli legati alla oscurità polare li ho riempiti di segnalibri.
Le curiosità
Il romanzo più lungo del mondo in un podcast
Ecologica
Febbraio sembra maggio, niente neve, almeno a quote basse e in pianura manca la pioggia: si parla di siccità già in inverno, è un bel problema per i mesi che verranno.
Il film
Un bel mattino di Mia Hansen-Løve (2023)