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Le mie letture

Pralève di Lalla Romano

È luglio. Lalla Romano trascorre l’estate in montagna. Una villeggiante. Come dichiara il titolo del suo primo nucleo narrativo di casa Einaudi. Il secondo, Pralève, riproposto da Lindau – la cui prefazione di Giovanni Tesio è una lucida guida alla lettura – è arricchita di altri racconti di montagna e lascia una traccia ben chiara su chi sia il protagonista di queste pagine.

Pralève è una sorta di diario di villeggiatura, fatto di ritratti di quelle persone un po’ speciali che si incontravano in un paese dell’alta Val d’Aosta, sopra i duemila metri, in cui per una trentina d’anni ho trascorso il mese di luglio.

Sono il paesaggio montano e gli abitanti che popolano il cuore centrale della narrazione: storie minute, dettagli minuti. Le loro vite sembrano provenire dalla montagna, si muovono e respirano con essa. Ci sono le storie di Nanda e del suo albergo, Minetto il segretario, Ginni e sua cugina Anna, Anna, Silvia e Elisetta.
Pralève, che è Cheneil, vive dei sussulti estivi prima di trincerarsi nella sua segregata quiete della stagione rigida. Ma l’autrice ha conosciuto il silenzio assoluto dell’autunno quando si fonde con la montagna e con quanti ancora la abitano.
Sulla corriera ogni anno si riconosce il forestiero, gli abitanti non sono più gelosi del Gran Chenu, anche se l’arrivo è come l’avvento del Terzo stato, gente sconosciuta che chissà se rispetterà le montagne. Ai forestieri abituali, quelli che tornano ogni estate, è riservata più magnanimità.

Vetan apre con una citazione di Joseph Joubert: «Sono gli uomini che fanno i luoghi». E al tempo stesso sono i luoghi che fanno gli uomini: ad adattarsi all’ambiente, aprire legami, mettere in atto grandi mutamenti, a volte imbruttirli. È una geografia sentimentale indissolubile.
E così tra pochi “conforti”, termine utilizzato dalla stessa autrice, la voce narrante si appresta a raccontare questo piccolo mondo remoto: ascolta, osserva, trascrive. Appare tra una riga e l’altra l’io che può essere identificato con la stessa autrice o con una villeggiante, appunto. Il suo è uno sguardo privato di ciò che le accade intorno.

Giravo sola, esploravo i posti: costoni, vallette, sentieri ancora per me senza nome. Ero gelosa idi questo; e il fatto di poter andare, stare senza incontrare nessuno era proprio quello che avevo cercato a Pralève. Cosa facessero gli altri, non era difficile saperlo: andavano in giro anche loro. Ma i sentieri erano tanti.

Davanti una natura rassicurante e ritrosa, lontana dalle affollate rotte turistiche – gli altopiani come una terra promessa, le erbe, le mulattiere impervie, le ombre e su tutto la pace –, un acquarello senza prospettiva che si può leggere da ogni lato, come i soggetti dipinti dal compagno di passeggiate Kurt. «Dunque esistevano ancora luoghi così solitari così antichi».

Le montagne impenetrabili lasciano catalogare le loro vette, ignote e al tempo stesso protettive, persino generose a rivelare il profilo della madre:

Ho scelto di leggerlo da destra a sinistra perché ho riscontrato, come in lei, il labbro superiore un po’ sfuggente. La breve cima dentata ha veramente qualcosa della struggente e misteriosa bellezza di lei. […] Con quel profilo è il mio colloquio.

Il paesaggio montano trova corrispondenza nell’immagine proiettata sulla pagina, che rimane pur sempre personale. La sua bellezza è identificabile con quanti animano la sua scrittura, per assumere poi una peculiarità antropomorfizzata:

Era tardi per salire a Fontana Fredda, e presi il sentiero di Chanoux. C’era vento e una luna rosa nel cielo vitreo, selvaggia tra i rami dei pini che si torcevano. Vi era qualcosa di battagliero, nel cielo, nella purezza quasi insostenibile. Sentii l’impulso di pregare: verso la luna tagliente, viva come un occhio.

È forte la misura del ricordo intorno a cui ruota l’universo montano e quel senso di appartenenza. Ecco perché gli scritti si fanno istantanee da sparpagliare sul pavimento per ripensare ai quegli angoli di mondo: «nella città d’inverno, Pralève e la sua breve estate sono “materia di fede”».

 

Pralève di Lalla Romano, Edizioni Lindau, 2017