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Comodini

Comodini – Il soffitto si riempie di nuvole

Ricordate Comodini? Qualche settimana ho inauguranto questa rubrica con il mio. Non avevo intenzione di lasciarvi a bocca asciutta fino al mese prossimo, così è venuta in mio soccorso Norma di Il soffitto si riempie di nuvole, la quale ha accolto con entusiasmo e tempestività il mio appello. Sapevo che su di lei potevo contare. Immaginavo così il suo comodino, forse un po’ vezzoso, da eroina di Jane Austen. Penso che la sua personalità rifletta molto sugli oggetti e libri di cui ci parlerà tra poco.
Per chi non conoscesse il suo blog vi invito a visitarlo, a prendere a piene mani la curiosità, riflessione, ironia di questa poliedrica ragazza dedita alla lettura, al teatro, alla fotografia: non vi annoierete. Come oggi.

Prima del 2011, io non avevo mai posseduto un comodino. Dall’alto del mio letto a castello, il comodino era per me un lontanissimo, inarrivabile oggetto del desiderio. Chissà come vive la gente che ha il comodino, mi chiedevo. Chissà quante cose ci mette sopra. Già. Quante cose.
Come le montagne si creano da sedimentazioni millenarie, così il mio comodino cresce e s’innalza, strato dopo strato. Questo fino a quando un’inevitabile slavina non mi obbliga a fare spazio. Che gioia, allora, scavare, ritrovare accumuli di un passato di cui avevo perso traccia. Con la sorpresa di chi per primo trovò le conchiglie sulle Dolomiti, scopro che il mio comodino conserva fari di biciclette, scatole di magnesio in polvere, mazzi di chiavi senza portachiavi, toppe di jeans, aquiloni. È tra un “Ma come ci sarà finito questo filo per appendere le fotografie qui?” e un “Ah, ma ecco dov’erano quegli orecchini!” che il mio comodino racconta una storia di disordini ed entusiasmi.

Ci sono gli oggetti immancabili, senza i quali la notte mi sentirei persa: la bottiglietta d’acqua, qualche foglio e una penna, perché, se mi viene in mente qualcosa di importantissimo da fare il giorno dopo, mi rivolto nel letto in preda all’ansia finché non me la sono segnata. C’è una lampada da lavoro, dalla luce non proprio soffusa. Ma tanto io non leggo la sera: dopo mezza pagina dormo già.
Poi ci sono le cose a cui sono affezionata, quelle che voglio tenere vicino. C’è un angioletto di plastica trasparente, con le ali glitterate, che mio fratello mi regalò per un Natale di qualche secolo fa, sopravvissuto a due traslochi. L’oggetto non è esattamente nel mio stile, ma il lato sentimentale ha avuto la meglio per tutti questi anni, fino a farlo diventare un cimelio. C’è la prima, primissima foto che io e il mio ragazzo ci siamo fatti assieme, le guance arrossate dal pomeriggio al sole. Ci sono delle piume di pavone e una girandola azzurra, l’altare della leggerezza. E poi c’è il bigliettino di un biscotto della fortuna, che mi dice “Bravo! In ogni situazione difficile troverai la situazione ottimale!”. Grazie biscotto, il tuo ottimismo mi dona speranza.
E ci sono i libri. I libri non mancano mai. È quella la funzione primaria di un comodino, no? Raccogliere letture presenti e passate, libri la cui sola presenza risveglia un ricordo, e che ho bisogno di tenere lì anche se le ho già finite da un pezzo. Mi allietano il sonno.
Il record assoluto di permanenza sul mio comodino l’ha vinto Il rosso e il nero. Qualsiasi persona con cui abbia parlato del suddetto libro provava un odio profondo verso Julien Sorel. Io invece ne ero rimasta così ammaliata che non riuscivo a mandarlo via. Sul comodino si è formato un cratere che ora porta il suo nome. “Singolare creatura, in lui era quasi ogni giorno tempesta” non solo in lui, fidati caro Stendhal.
L’Isola di Arturo è il sogno, è l’incanto: un perfetto libro da comodino. È un po’ così che mi piace immaginare le mie origini, è così che nella mente dipingo il mare di quella città che non afferro mai. Mentre lo leggevo, mi sembrava di ricordare episodi che in realtà non ho mai vissuto, persone mai incontrate in vita mia mi erano parse parenti che semplicemente non vedevo da tempo. Ogni libro, un pezzetto di memoria in più.
E proprio perché con la mente all’infanzia ci ritorno sempre, sul comodino sbuca anche la (ri)lettura del momento: Piccole donne. Mi era stato regalato in un’edizione illustrata da bambina, la quale al momento suppongo giaccia da qualche parte nella cantina dei miei. Ne avevo un ricordo completamente diverso, la mia memoria deve aver tagliato via tutte le parti moraleggianti, che devono essere finite dritte dritte da qualche parte nel mio subconscio.
Ovviamente mi riconoscevo in Jo (a quale ragazzetta che ami scrivere e che legga Piccole donne non è capitato?), la cosa che mi diverte è che mi ci riconosco ancora adesso, soprattutto quando leggo che desidera un castello popolato di “cavalli, penne, calamai e libri”. Sì, nei miei sogni il mio mezzo di locomozione è il cavallo.
Com’è naturale che sia, sul mio comodino ci sono anche le nuvole.
Con la testa tra le nuvole è un bellissimo libro illustrato di Éric Puybaret, una storia ambientata a Maranabò, città costruita sull’acqua, dove gli abitanti, per spostarsi, devono usare i trampoli: mi ha ricordato tanto qualcuna delle città invisibili di Calvino. Un libro leggero leggero, azzurro azzurro. Un sogno lievissimo.