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Fuori dai libri

Collage. Israele

Collage è una rubrica di approfondimento che ruota intorno a un libro – cronaca, cultura, società – e infine qualche rimando persino colorato o frivolo. Oggi è il turno dell’intricato Medio Oriente e di racconti, bei racconti.

 

Il posto migliore del mondo, libro d’esordio di Ayelet Tsabari (Nuova Editrice Berti) non ha le peculiarità tipiche della cultura ebraica, l’autrice vive in Canada e la sua scrittura moderna.
In questa collezione di undici storie, dalla bellezza notevole, si dipanano i tanti volti di Israele dentro e fuori dal Paese, sentimento di tutta una notte, il paese che sembra un cono gelato.

L’illusione.

[…] mescolandoci fino a confondere i confini del nostro essere. Erano gli anni ‘90: la guerra del Golfo era finita. Rabin era stato eletto primo ministro e tutti pensavano che la pace fosse possibile e che presto avremmo organizzato feste a Beirut, mangiato hummus a Damasco e percorso in macchina la costa mediterranea fino alla Turchia.

La vita è dettata dal servizio militare obbligatorio, i raid aerei nei cieli sereni, i rifugi antibomba, a riconoscere potenziali attentatori. Ma anche a riconoscere le proprie radici.

“Come fai a dire se qualcuno ha un’aria sospetta?”
“Beh, deve assomigliare a un arabo.”
“Ma come fai a dirlo?”
“In che senso?”
“A volte in Canada la gente prendeva mia madre per un’araba.”
“E lo era?”
“Beh, no, ma i miei nonni erano dello Yemen, perciò in un certo senso siamo arabo, ebrei, arabi.”
Luna ride. “No, è impossibile. O sei araba o sei ebrea.”

Ayelet Tsabari parla di intricate relazioni umane, di giovani yemeniti e mizrahi (ebrei meridionali) e persino una filippina, soprattutto l’impellente bisogno di scovare quel luogo sicuro, che coincide con un inventario mentale, un catalogo di casa.
“Ma tu ami questo posto”, dice Natalie a Lillosh. Anche Tamar ha nostalgia di Gerusalemme dorata, il posto più sacro del mondo. Nonostante tutto.

  • La scrittrice; Ayelet Tsabari, non si fa portavoce di idee politiche, non si misura apertamente con il conflitto arabo-israeliano, forse perché è implicito. Per completezza due articoli che ne parlano: l’origine del conflitto, a cent’anni dal disegno per la creazione di uno stato israeliano (l’anno prossimo ricorreranno i 70 anni dalla fondazione); l’occupazione di Gaza e i coloni: «in Palestina, Israele è ovunque»;
  • nel libro è forte e chiaro il concetto di casa, di ricerca, al di là delle quattro mura. Gli ebrei immigrati spesso si consumano nel loro senso di colpa di vivere lontani dalla Terra Promessa;
  • Nick Cave ha aperto i due concerti di Tel Aviv protestando contro la censura musicale;
  • ci sono due film che mi sento di consigliare: Il giardino dei limoni di Eran Riklis (2008) che vede il racconto del conflitto arabo israeliano attraverso gli occhi di Selma che vive in Cisgiordiana e cura un giardino di limoni confinante con l’abitazione di un ministro israeliano; Libere, disobbedienti e innamorate (2016) di Maysaloun Hamoud sonnecchia una società patriarcale tra ebrei, cristiani, musulmani che si scontra con la vivacità di Tel Aviv e la ricerca del proprio ordine e identità.
    Entrambi i film vedono come protagoniste delle donne. E non è un caso.

 

Il posto migliore del mondo di Ayelet Tsabari, Nuova Editrice Berti, 2014

(Maglione e sciarpa h&M;
Ombretto Purobio, rosso rame n.21;
Miele biologico millefiori Apicoltura Manghi Amanda)