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Le mie letture

Non stancarti di andare di Teresa Radice e Stefano Turconi

A libro chiuso penso solo: meraviglia! Non è aggettivo banale, non in questo caso. Non saprei etichettarlo altrimenti.
Non stancarti di andare è un bel fumetto corposo (più di 300 pagine), denso di parole, di storie; è un lavoro importante quello di Teresa Radice e Stefano Turconi che abbraccia più fili – letterari e musicali, privati e attuali –, più livelli di lettura.
La dimensione narrativa e illustrativa, documentatissima, di memorie e ispirazioni, vortice sincero e intimo, tesse una trama fittissima, arzigogolata, tesa. Andrebbe sfogliato – per i disegni –, letto – per la narrazione – almeno un paio di volte. E soffermarsi su ogni battuta, ogni ombra, ogni tessera fino a quando non ci si stanca.
Non racconterò la trama, svelerei troppo. Posso dire che se c’è un fumetto che parla del presente è proprio questo.

Iris dai capelli-di-grano e Ismail tabacco-legno-spezie-inchiostro raccontano l’attesa e sperimentano sulla propria pelle quel che vuol significare sconfinare l’uno nell’altra. È una storia di frontiera, quel limite apparentemente invalicabile, che mette a dura prova la pazienza, i diritti ma arricchisce. I due ragazzi si misurano con la lontananza degli affetti, la guerra e il dolore.
La Siria speziata, seducente di giardini e pacifica convivenza, mistica di quei soggiorni con padre Saul, colui che comprende senza giudicare, «una distesa di polvere rosa, luce abbagliante, vento che scombussola i pensieri e fruga irriverente tra le pieghe di un passato aperto, sopravvissuto millenni» è così lontana, non trova corrispondenza con il diario di viaggio di Iris e con le immagini attuali, un cumulo di macerie urbane e umane che la guerra civile ha ammucchiato sul ciglio della strada.
E quegli scontri hanno acuito l’odissea dei moltissimi, che sfuggono alla fame, alla morte, si ritrovano nelle mani di spietati aguzzini, opportunisti e truffatori che lucrano su questo immenso esodo civile. A ciò si aggiunge una burocrazia che non fa sconti a nessuno, nemmeno quando effettivamente non si è clandestini. La macchina dell’accoglienza è quella Lampedusa porto e simbolo di chi non si abbandona a facili pregiudizi ma si identifica in una geografia dei sentimenti comuni. Perché in quel “chiamatemi Ismaele”, di melviniana memoria, in ci si riconosce esuli. Tutti.
L’alba incantata che Iris osserva e imprime sulla carta sull’eremo siriano, passaggio morbido tra la notte e il giorno, buio e luce, potrebbe essere atteggiamento contro le distinzioni nette tra chi è di qui e chi è di là. Anche l’Istanbul di qualche anno fa, nei ricordi dei due ragazzi, aveva quel ruolo tra l’Europa e l’Asia, un ponte decaduto per la brama di potere.
Mediare e immedesimarsi.
Una Storia che non è possibile dimenticare, ha reso in un tempo remoto e recente gli europei migranti e colonizzatori.

Ci sono il senso di colpa e la nostalgia che attanaglia Ismail, allontanarsi dalla sua terra d’origine significa scansare il destino funesto che impervia su quell’angolo di mondo:

Ah, la nostalgia! Ci trascina dietro con sé: non perché il passato abbia più senso del presente, ma perché è là che il presente cerca le sue radici… La nostalgia è dare valore all’istante in cui questo qui e ora è stato seminato nella nostra vita.

Il piccolo Ismael riceve questa rassicurazione da Saul, ispirato alla figura carismatica di padre Paolo Dall’Oglio che ha costruito a Mur Musa una comunità monastica fondata sul dialogo tra le religioni senza distinzioni e discriminazioni.

Dieci lune per l’attesa, per non perdere mai le speranze, gemme per le foreste, che Iris e Ismail perseguono su selciati diversi e che portano alla medesima meta. «Io sono un camminatore: guaderò sempre avanti», scrive Tagore, nume tutelare di Maite, madre di Iris, e di quel passato che si incrocia con la dittatura argentina.
Non stancarti di andare è un inno alla determinazione, al coraggio delle proprie scelte, all’«eterna ricerca di radici e destinazioni» che accomuna le vite terrene.

Non stancarti di andare di Teresa Radice e Stefano Turconi, Bao Publishing, 2017