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Fuori dai libri

Il sistema periodico di Primo Levi

Il Sistema periodico − «era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva persino le rime!» − è un libro bellissimo, così bello che non riesco a decifrarlo, il timore di misurarmi. Banalmente ho rielaborato la mia tavola degli elementi, di quelle cose che mi hanno più colpita.
Primo Levi compila il suo catalogo, assonanze, corrispondenze tra la vita personale e la materia, quella chimica che gli ha permesso di salvarsi dalla stagione più buia della sua esistenza. È un’autobiografia ma al tempo stesso non lo è, un simbolico percorso sul mestiere di chimico.

Argon: come altri gas nobili non si combina con altri, passa inosservato tanto da essere apostrofato come il Nuovo, il Nascosto, l’Inoperoso, lo Straniero. Anche la famiglia d’origine si tiene alla larga dai gôjím, le genti.
«Non tutti [gli antenati] erano materialmente inerti, perché ciò non era loro concesso: erano anzi, o dovevano essere, abbastanza attivi, per guadagnarsi da vivere […]; ma inerti erano senza dubbio nel loro intimo, portati alla speculazione disinteressata, al discorso arguto, alla discussione elegante, sofisticata e gratuita. Non doveva essere un caso se le vicende che loro vengono attribuito, per quanto assai varie, hanno in comune un qualcosa di statico, un atteggiamento di comune astensione, di volontaria (o accettata) relegazione al margine del gran fiume della vita. Nobili, inerti e rari: la loro storia è assai povera rispetto a quella di altre illustri comunità ebraiche dell’Italia e dell’Europa».

Idrogeno: «lo stesso che brucia nel sole e nelle stelle, e dalla cui condensazione si formano in eterno silenzio gli universi».
Cimentarsi con l’elettrolisi dell’acqua nel laboratorio del fratello di Enrico, per impressionarlo e confutare alcune tesi certe.

Zinco: l’impazienza di mettere in pratica i frutti delle lezioni di Chimica generale e inorganica per preparare il solfato di zinco; non è tossico, ma noioso, se puro si comporta in modo assai diverso.
L’infatuazione per Rita, il cui atteggiamento scoraggia qualsiasi pretendente. «[…] perché ebreo sono anch’io, e lei no: sono io l’impurezza che fa reagire lo zinco, sono il granello di sale e di senape. L’impurezza, certo: poiché proprio in quei mesi iniziava la pubblicazione di “La Difesa della Razza”, e di purezza si faceva un gran parlare, ed io cominciavo ad essere fiero di essere impuro».

Ferro: è il ritratto sincero dell’amico Sandro, compagno di studi dell’Istituto Chimico, accomunati dall’amore per la montagna. «Stava tutto nelle azioni […], sembrava fatto di ferro, ed era legato al ferro da una parentela antica: padri dei sui padri, erano stati calderai («magnín») e fabbri («fré») delle valli canavesane […]: e lui stesso, quando ravvisava nella roccia la vena rossa del ferro, gli pareva di ritrovare un amico».
Mentre fuori si addensano le notti torve dell’Europa pre-bellica.

Potassio: gemello del sodio, si ravvisa qui un legame tra scrittura e chimica. «Il mestiere del chimico consiste in buona parte nel guardarsi da queste differenze, nel conoscerle da vicino, nel provvedere gli effetti. Non solo il mestiere del chimico». È però una sostanza altamente incendiaria.
Nel gennaio del 1941 la Germania ha occupato buona parte d’Europa («era quello il Vero, quella la Realtà») mentre si fa più acuta la cecità degli inglesi, come una una certa passività alberga in tutti gli altri: «il fascismo intorno a noi non aveva antagonisti. Bisognava ricominciare dal niente, «inventare» un nostro antifascismo, crearlo dal germe, dalle radici, dalle nostre radici».

Nichel: fresco di laurea, Levi si appresta a un lavoro misterioso quanto la sua identità da celare, a Lanzo, presso una cava d’amianto – quando non si sapeva di quel potere maligno – per estrarre le misere quantità di nichel. «Sbagliare non era più un infortunio vagamente comico, che ti guasta un esame o ti abbassa il voto: sbagliare era come quando si va su roccia, un misurarsi, un accorgersi, uno scalino in su che ti rende più valente e più adatto».
Inoltre ad attenderlo un microcosmo di figure lontane dai grandi eventi e di storie curiose.

Piombo e Mercurio: hanno dato il titolo a due racconti, storie antiche e fiabesche, come il sogno d’evasione di un prigioniero, così belli, soprattutto il primo, che mi dispiacerebbe riportare anche una virgola. Quindi, caro lettore, affrettati a recuperare il libro.

Fosforo: «L’indomani mi licenziai dalle Cave, e mi trasferii a Milano con le poche cose che sentivo indispensabili: la bicicletta, Rabelais, le Macaroneae, Moby Dick tradotto da Pavese ed altri pochi libri, la picozza, la corda da roccia, il regolo logaritmico e un flauto dolce». Per occuparsi di antociani sui conigli e di acido fosforico per scalfire il diabete, in uno strano mondo fatto di sospetti e orari calcolatissimi.

Oro: davvero i fondali della Dora custodiscono pagliuzze d’oro? Così si presume dal racconto di uno strampalato prigioniero: «imprecavo la mia vita precedente, che mi pareva di aver sfruttato poco e male, e mi sentivo il tempo scappare di fra le dita, sfuggire dal corpo minuto per minuto, come un’emorragia non più arrestabile. Certo che avrei l’oro: non per arricchire, ma per sperimentare un’arte nuova, per rivisitare la terra l’aria e l’acqua, da cui si separava una voragine ogni giorno più larga; e per ritrovare il mio mestiere chimico nella sua forma essenziale e primordiale, la “Scheidekunst”, appunto, l’arte di separare il metallo dalla ganga». È la maturazione di una coscienza politica e della partecipazione attiva alla lotta partigiana.

Cerio: «a distanza di trent’anni, mi riesce difficile ricostruire quale sorta di esemplare umano corrispondesse, nel novembre 1944, al mio nome, o meglio al mio numero 1745517. Dovevo aver superato la crisi più dura, quella dell’inserimento nell’ordine del Lager». Il ferro-cerio per confezionare rudimentali accendini da vendere: ecco cosa contiene il laboratorio della Buna. È un altro modo per preservare la vita.

Cromo: lavora in una fabbrica di vernici perché di sola scrittura non si campa. «[…] provavo nello scrivere un piacere complesso, intenso e nuovo, simile a quello sperimentato da studente nel penetrare l’ordine solenne del calcolo differenziale. Era esaltante trovare la parola giusta, cioè commisurata, breve e forte; ricavare le cose dal ricordo, e descriverle col massimo rigore e il minimo ingombro. Paradossalmente il mio bagaglio di memorie atroci diventava ricchezza, un seme; mi pareva, scrivendo, di crescere come una pianta».

Zolfo: «Si guardò intorno, con un gran bisogno di ridere e di raccontarla, e con un senso di leggerezza in tutte le membra». E non aggiungo altro.

Titanio: anche questo un piccolo racconto, di un cerchio magico, di Maria curiosa, di una strana vernice che è titanio.

Arsenico: il Mascolino, quello di Mitradate e Madame Bovary, ma qui è nelle vesti false di zucchero da chimicare e di un ciabattino messo a dura prova dalla concorrenza. «Bel mestiere, anche il vostro: ci va occhio e pazienza. Chi non ne ha, è meglio che se ne cerchi un altro».

Azoto: cosmetici e rossetti poco omogenei sulle labbra. Forse l’acido urico è la salvezza per il proprietario della fabbrica a non chiudere a favore dei più durevoli prodotti francesi? «Era un’avventura inedita e allegra, e inoltre nobile, perché nobilitava, restaurava e ristabiliva».

Stagno: unica fonte di guadagno certa, sciolto nell’acido cloridrico. È il laboratorio di Emilio, ricavato in casa, con scarsi risultati. «Emilio accettò con dolore, ma virilmente, la comune sconfitta e la diserzione. Per lui era diverso: nelle vene correva il sangue paterno, ricco di remoti fermenti pirateschi, di iniziative mercantili e di inquieta smania del nuovo. Non aveva paura di sbagliare, né di cambiare mestiere […]».

Uranio: quello che oggi si chiamerebbe il commerciale o rappresentate, allora era il Servizio Assistenza Clienti. In un incontro con Bonino, questi racconta di aver ricevuto dai tedeschi, come ringraziamento per aver indicato la direzione per la Svizzera, un sasso di uranio.
«Ma lei non ci crede? […]
Sa che faccio? Domani gliene mando un pezzo: così si convince, e magari, lei che è uno scrittore, in aggiunta alle sue storie un giorno o l’altro scrive anche questa».

Argento: 25 anni non di matrimonio, ma dalla laurea, un raduno di classe organizzato dallo schivo e opaco Cerrato.
«Gli dissi che andavo in cerca di eventi, miei e degli altri, che volevo schierare in mostra in un libro, per vedere se mi riusciva di convogliare ai profani il sapore forte ed amaro del nostro mestiere, che è poi un caso particolare, una versione più strenua, del mestiere di vivere».

Vanadio: da aggiungere alla vernice che non asciuga, così viene suggerito dall’azienda tedesca. Il destino vuole che quel Müller sia lo stesso di Buna, del lager-laboratorio. La sua versione dei fatti è in qualche modo confutata da altri occhi. «E dopo Auschwitz non è più lecito essere inermi».

Carbonio: che permette la vita in un complicato cammino di sopravvivenza della Verità; «fa sì che la mia mano corra in un certo cammino sulla carta, la segni di queste volute che sono segni; un doppio scatto, in su ed in giù, fra due livelli d’energia guidata questa mia mano ad imprimere sulla carta questo punto: questo.».

Il sistema periodico di Primo Levi, Einaudi, 1994