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Le mie letture

Giardini di carta di Évelyne Bloch-Dano

George Sand, prolifica scrittrice della letteratura d’Oltralpe, a Nohant allestisce il suo giardino, poco lontano da Parigi che non ama, trascorrendo buona parte delle sue giornate, fremendo per l’arrivo della primavera. Scrive e si dedica al giardinaggio, ma non all’orto.
Persino Eugène Delacroix dipinge Le jardin de George Sand à Nohant (1842) rappresentando l’idea di equilibrio e semplicità a cui aspira l’autrice: «non una composizione paesaggistica che imita la natura, ma una spazio protetto in cui la natura stessa rievoca un giardino».
Ecco perché più volte dichiara rispetto per la natura come santuario, rifugio in cui poter esprimere se stessi. Non è un caso che George Sand utilizzi nelle sue epistole la metafora del giardino soprattutto per indicare la sua condizione di scrittrice: «coltivo in solitudine “il mio piccolo giardino letterario”»; «un giardino più difficile da lavorare». L’osservazione della natura va di pari passo con l’osservazione della vita, interessata alla botanica semina tracce evidenti del giardino di cui si prende cura nei suoi numerosi lavori intellettuali.

Ho pensato di parlarvi della figura che più mi ha colpita, per quel parallelismo tra giardino e letteratura, tra quelle proposte da Évelyne Bloch-Dano nel suo piacevole Giardini di carta (Add Editore), titolo eloquente e romantico, che esamina alcuni scrittori francesi per ragioni soggettive e di vicinanza culturale.
Giardini dunque, reali e cartacei. Un vero culto dei sensi: profumi, simmetrie, colori tentano di uscire dalla pagina per prendere sostanza e restituire al lettore quei momenti.
L’excursus storico sulla nascita di questi spazi verdi segue l’evoluzione nel tempo, per illustrare in alcuni autori – Jean-Jacques Rousseau, George Sand, Balzac, Stendhal, Flaubert, Hugo, Zola, Marcel Proust, André Gide, Colette, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Marguerite Duras, Patrick Modiano – come il giardino sia presente anche metaforicamente nella loro produzione letteraria.
Il giardino introduce alle scene chiave, ritma il passaggio delle stagioni, custodisce segreti indicibili, non è un superfluo accessorio ma si identifica quasi come paradiso perduto, il cui simbolo assoluto è l’Eden.
«Il romanzo mette così in atto la fusione tra diversi elementi del reale, della memoria e dell’immaginario». Infanzia, nostalgia illusione tendono a coincidere in un ideale da attuare. Spesso i luoghi dell’incanto attingono ai ricordi, all’età felice della spensieratezza in cui è solito dedicarsi ad un erbario, primo approccio alla natura.
Gli scrittori si abbandonano alle metafore, alle elencazioni, alle suggestioni, e fantasticare intorno a quei quadri affettivi, che ritraggono la fugacità della natura e della memoria: tentare di riprodurne le antiche architetture è come scorgerli sempre dalla finestra.
Sono provetti giardinieri Gide, Rousseau e Sand, studiosi di botanica e dei meccanismi di crescita. Un semplice spettatore è Proust, che a causa di una forma importante di asma, è sempre stato costretto a starne lontano dal verde ma la Recherche è costellata di fiori e momenti topici a Combray. Anche questo è un modo per coltivare il proprio giardino nei libri.
I lussureggianti giardini tropicali lasciano il posto agli sconfinati parchi che si allungano fino ai boschi della Duras. In Patrick Modiano c’è sempre l’aspirazione alla bellezza tra le brutture del mondo: un filo d’erba che sbuca da una casa in decadimento è motivo di inganno. Se per Cosette di Victor Hugo il giardino del convento è la salvezza; per Dora Bruder di Modiano, che lascia ingenuamente quel rifugio, trova l’arresto.
Quest’ultimo scrittore meglio rappresenta il passaggio alla dimensione urbana, i cui giardini sono quelli cittadini, i parchi pubblici frequentabili qualche ora al giorno. Al Luxembourg di Parigi Sartre e la de Beauvoir trascorrono i pomeriggi: se per il primo è immagine di esclusione dai giochi e fobia, per la donna, invece, è simbolo viatico di ricerca del senso della propria vita.
Il giardino, sotto quest’ottica, è un fenomeno culturale che subisce i cambiamenti della società. Versailles per molto tempo ha dettato legge nelle geometrie, ma in ciascun scrittore ha influito il gusto personale, molte volte attingendo agli album familiari. Chi non è riuscito a realizzare questo progetto ha infarcito la letteratura di rimandi e odori, un invito al lettore ad una passeggiata letteraria, a concepire i libri come luoghi fioriti.
Scrive Christian Bobin in Les ruines du ciel, il quale è omaggiato da Évelyne Bloch-Dano nell’epilogo:

I libri sono chiostri di carta. Vi si può passeggiare giorno e notte. I giardini al centro dei chiostri simboleggiano il paradiso. Con il tempo sono diventato giardiniere in paradiso, passando ogni mattino un rastrello di inchiostro su una stretta terra di carta bianca. È importane che tutto sia in armonia: il paradiso non è fatto per viverci, ma perché lo si contempli e, in un colpo d’occhio, l’anima ne sia confortata.

Titolo: Giardini di carta. Da Rousseau a Modiano
Autore: Évelyne Bloch-Dano
Editore: Add
Traduttore: Sara Prencipe
Pagine: 222
Anno di pubblicazione: 2016
EAN: 978886783107
Prezzo di copertina/ebook: € 16,00 – € 6,99