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Comodini

Comodini – Scratchbook

Scratchbook alias Maria è ironica, pungente e paladina dei racconti, se americani ancor meglio. Devo imputare a lei la mia conversione a tale genere, prima faticavo molto: nella brevità dello spazio non riuscivo a incastrare le mie coordinate. Quest’anno ne ho letti di molto belli, ma questa è un’altra storia.
Maria cura un blog letterario e “governa” un gruppo virtuale di lettori, gli Scratch Readers, che discute di libri e questioni letterarie, tanto che è in atto una maratona shakespiariana (ancora in atto): trovate tutte le informazioni sul suo spazio.
Nel frattempo leggiamo cosa ha dirci riguardo le sue letture. Giugno si chiude con il suo interessantissimo comodino.

Io lo chiamo “ordine terapeutico”, un senso delle cose che diventa necessità quando la mente si scompiglia più del solito. È un modo per trovare l’equilibrio, l’illusione che il dentro si adatterà al fuori. Tutto è regolato dallo stesso bisogno: la casa, l’armadio, la libreria. Sul mio comodino c’è soltanto una lampada; un libro, qualche volta. Ma è successo qualcosa in questi giorni che ha cambiato un po’ l’ordine delle cose. Sono appena tornata da un viaggio, sono stata a Praga e sono stata veramente bene. Ora ho la mente libera, finché durerà, e il comodino pieno: biglietti, cartoline, ricevute, monete. E poi ci sono i libri, quelli che ho portato con me.

Prima ancora che pensassi a cosa mettere in valigia avevo già scelto Il processo di Franz Kafka.

Lei è in arresto sì, ma non in arresto come un ladro. Quando uno viene arrestato alla maniera dei ladri, allora sì che è brutto, ma nel suo caso… Ecco, il suo caso mi sembra una delle cose da gente istruita, sì, mi scusi se ho detto una sciocchezza; una cosa da gente istruita, che io non capisco, ma che nessuno dovrebbe capire.

Quanto l’ho cercato, lui, in questi giorni praghesi! Leggere un romanzo di Kafka a Praga è qualcosa che avevo in mente da tanto tempo perché sapevo che sarebbe stata un’esperienza particolare. Come andare in apnea. Praga rende a Kafka tanto quanto Kafka diede a Praga nei suoi quarant’anni di vita. Lui è ancora lì, dentro la città, in un modo che non vi riesco proprio a spiegare.

A Praga ho portato anche gli Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh. L’ho scelto perché ho letto un racconto. È una cosa che faccio spesso: leggo un racconto e poi decido. Le Brevi interviste con uomini schifosi, per esempio. Avevo conosciuto David Foster Wallace da altri libri ma quella raccolta non l’avevo ancora letta. Poi mi capitò di vederla in libreria e lessi una storia che s’intitolava Pensa; appena tre pagine, due piene e una metà. Un racconto così semplice ma così efficace come non ne leggevo da tempo. Forse resta uno dei miei preferiti. Così ho scelto, quella volta gli uomini schifosi e questa volta il bordello turco. Ho letto il primo racconto e mi è piaciuto, soprattutto perché è riuscito a mettere un po’ in discussione l’idea che mi aveva suggerito il titolo. Ho intravisto qualcosa in quella storia, quel qualcosa che sfugge e diventa languore. E poi un’altra cosa che faccio: apro il libro in un punto a caso e leggo la prima frase che vedo.

Nel mezzo di tutto questo, non è male trovare qualche momento in cui qualsiasi cosa sia rimasta di te possa sedersi da sola, in silenzio.

Dopo questa, non avevo scelta.

Le storie di ordinaria follia di Charles Bukowski, invece, sono lì da molto tempo. Da qualche mese Hank è diventato un vecchio amico col quale mi vedo un paio di volte a settimana. Non di più, non lo sopporterei. In questi giorni ho imparato ad accettare i suoi difetti senza giudicarlo troppo. Quando ci vediamo più spesso non riesco a non criticarlo: il modo in cui tratta le donne, gli uomini, soprattutto se stesso. Ormai lo conosco bene e so che quando si avvicina troppo alla verità scappa, o si nasconde, e allora diventa volgare. La volgarità è parte del suo essere sincero, come se non riuscisse a dire qualcosa senza camuffarla. È che la verità ci rende deboli, e stupidi, ai nostri stessi occhi, e allora non possiamo fare altro che coprirla un po’, per fare in modo che l’impatto sia meno devastante. Così mi ha detto.

Marie, ti amo. Sei stata molto buona con me. Ma devo andar via.
E non lo so, esattamente,perché. Sono pazzo, mi sa.
Addio.
Charley

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