Serena è stato un incontro virtuale da occhi a cuore. Ma prima devo presentarla: è un’illustratrice, inutile aggiungere bravissima, che usa con gentilezza i colori. Si muove con passi di danza sulla carta e ne nascono meraviglie. Crea è il verbo che le addice di più, laboratori, erbari, immagini botaniche, quotianità.
Leggendo il suo pezzo, ho trovato qualche comunanza: i tappi per le orecchie (guai a perderli), un libro del catalogo Keller che inizierò quanto prima, leggere al mattino appena sveglia.
Ecco il suo comodino magnificamente illustrato.
Talismani della notte e fedeli libri alloggiano sul mio comodino dei rituali. Variopinti tappi per le orecchie accompagnano il mio sonno, come se invece di coricarmi a letto viaggiassi in aereo. Uno spray per il cuscino vaporizza oli essenziali per assicurare sogni tranquilli, che non faccio quasi mai. È sempre presente anche un tubetto di crema per le mani: la prediligo alla mandorla, così quando la uso penso alla strofa «tu mi fermi con la mano che sa di mandorla» dalla canzone Le stelle di giorno di Bianco.
Raramente leggo prima di addormentarmi, lo faccio invece appena sveglia. Alzo la tapparella, inforco i miei occhiali rotondi e leggo. La giornata non può che iniziare bene.
Fino a poco tempo fa mi attendeva Quel che si vede da qui di Mariana Leky (Keller) che – delicato e potente – mi ha fatto sorridere e commuovere; leggerlo è stato come ricevere una rassicurante carezza. Narra di una quotidianità comune e unica, ordinaria e magica, sicuramente preziosa. Mi era stato consigliato dalle mie libraie di fiducia Eleonora e Valentina di Quivirgola (Schio, Vicenza) e appena acquistato lo ha prontamente elogiato anche Federica, libraia di Piccolo Grande Bubo (Padova), assicurandomi che mi avrebbe incantata. Avevano ragione tutte e tre; ritengo infatti che potersi affidare completamente a delle libraie sia un privilegio e una ricchezza ineguagliabile.
Con una scrittura inconsueta e poetica Leky tesse questo racconto trattando la vita e la morte con estrema dolcezza. Una lettura che fa bene al cuore.
Potevamo riservare qualsiasi trattamento all’amore. Potevamo nasconderlo più o meno bene, potevamo trascinarcelo dietro, potevamo sollevarlo, portarcelo in tutti i Paesi del mondo, comprimerlo in mazzi di fiori, relegarlo sottoterra, spedirlo in cielo. Paziente e flessibile com’era, l’amore si prestava a tutto questo, ma trasformarlo non era proprio possibile.
Adesso, Quel che si vede da qui è stato sostituito dal diario di Virginia Woolf , pieno di appunti sulle sue letture, sul suo lavoro, sulle persone del presente e del passato, su ciò che lucidamente osservava intorno a lei. In una delle prime pagine scrive: «Mi propongo di prendere nota delle mie impressioni sul Paradiso perduto mentre ancora lo sto leggendo.»
E questo è esattamente ciò che sto facendo io con Diario di una scrittrice (BEAT), ne annoto qualcosa mentre ancora lo sto leggendo. Non ho dubbi sul mio giudizio una volta terminato: Virginia è pur sempre Virginia e non può che lasciarmi soddisfatta.
La voglia di leggere le sue memorie mi era stata instillata da una precedente lettura, Caro amico dalla mia vita scrivo a te nella tua di Yiyun Li (NN), nella quale l’autrice fa riferimento più volte ai taccuini della Woolf e di Katherine Mansfield:«Virginia Woolf e Katherine Mansfield ebbero un’intensa e disagevole amicizia, come capita spesso fra due rivali che si capiscono a vicenda».
Anche il libro della Li è scritto in forma diaristica, redatto nei suoi due anni di depressione e con riferimenti ai vari ricoveri dovuti a diversi tentativi di suicidio. Spietato, ma al tempo stesso sensibile e ricco di grazia, questo libro regala riflessioni senza filtri, alle quali attingere poco per volta facendo scaturire domande a cui non è possibile rispondere.
Il cambiamento di un paesaggio nella migliore delle ipotesi è una distrazione o il nuovo scenario di vecchi vizi. Ciò che spostiamo da un punto all’altro, in senso geografico o temporale, è il nostro io. E anche la persona più incoerente è coerentemente se stessa.
Nel citare Yiyun Li il mio pensiero va a Banana Yoshimoto, seppur una sia cinese e l’altra giapponese, la cultura orientale le accomuna sotto certi aspetti. È stata la mia scrittrice preferita per alcuni anni; ho letto gran parte dei suoi libri durante l’adolescenza, perché piacevano a mia mamma e a casa possedevamo già diversi volumi. Della sua scrittura mi interessava soprattutto l’io più profondo dei personaggi, suppongo per il bisogno di scoprire me stessa attraverso loro.
Nel mio petto ogni giorno c’è qualcosa che brilla rosso e fulgente, come una fiamma che brucia, e anche se qualcuno che passa mi guarda dall’esterno non la vedrà né io farò nulla perché possa vedere. Io sono fatta di un enigma incandescente. Nascondo un mistero enorme, molto più grande del mistero dell’universo.
(Chie-chan e io, Feltrinelli)
Così come per Banana Yoshimoto, lo stesso vale per Jane Austen, Paola Mastrocola, Francis Scott Fitzgerald, Italo Calvino, Erri De Luca: ho amato molto della loro produzione. Con la Austen è stato un colpo di fulmine quando, un Natale di moltissimi anni fa, mia mamma mi regalò Orgoglio e pregiudizio.
Ripercorrendo a ritroso la storia delle mie letture, il comodino ha ospitato anche tante storie firmate da Roal Dahl, Bianca Pitzorno ed Elvira Lindo, tre autori ai quali sono vivamente affezionata.
Ma, mentre amo riguardare un film più e più volte – alcuni arrivo a conoscerli a memoria, ad anticiparne gesti e battute – non ho mai riletto integralmente un libro. La mente comunque ritorna spesso ad alcuni di essi, nonostante il ricordo della trama e dei personaggi si sia sbiadito nel tempo. I primi che mi vengono in mente, senza un ordine, sono La mia famiglia e altri animali di Gerald Durrell (Adelphi): quando lo lessi avevo più o meno l’età del protagonista e ricordo di essere stata completamente catturata dall’atmosfera; Quando tutto era possibile di Meg Wolitzer (Garzanti), emotivamente denso e sconvolgente; Cose da salvare in caso di incendio di Haley Tanner (Longanesi) di cui già solamente la dedica iniziale al defunto marito mi spezza il cuore e che forse – me ne accorgo solo ora – ha qualcosa in comune con Quel che si vede da qui. E il cerchio si chiude.
Ho parlato solo di romanzi perché sono loro a riposare sul mio comodino, mentre i libri di poesia, i saggi, i cataloghi, le raccolte, gli albi illustrati non poggiano mai lì, stanno invece sull’attenti, riposti anche in doppia fila sugli scaffali delle affollate librerie di casa. A differenza dei romanzi, sono sempre pronti a essere ripresi in mano, ripetutamente consultati, sfogliati, sottolineati, adagiati sul divano, sulla scrivania, sul tappeto, sul tavolo, in terrazza, e poi nuovamente spostati, aperti e richiusi.
I romanzi sul mio comodino iniziano e finiscono, custodiscono gelosamente le sensazioni vissute durante la loro prima e – per il momento – unica lettura.