Gökotta è un termine nordico manco a dirlo, in particolare svedese. Si pronuncia «IO-kot-ta» e rientra a pieno nelle parole intraducibili che aprono a mondi, culture e mille sfaccettature.
Il suo significato è detto: «svegliarsi presto alla mattina e uscire ad ascoltare il canto degli uccelli»*. Questa usanza è ascrivibile alla primavera e ancor di più al giorno dell’Ascensione, quando è possibile sentire il cuculo. Credo che non si tratti solo di assaporare la natura nel pieno risveglio primaverile, ma che coincida con qualche possibilità di decifrare il futuro.
Sono piuttosto mattiniera, ma mi rendo conto di quanto d’inverno sia complicato praticare questa abitudine, la scarsità di luce e il freddo non aiutano. Piuttosto è stato divertente imbattermi nel termine, riprendere il filo del discorso riguardo il concetto molteplice delle parole non perché ne abbia scelta una per l’anno, né mi conduce a solito proposito di inizio anno (non mai creduto al suo potere), ma come monito per non perdere tempo.
Qualche giorno fa mi è venuto in mente il risotto al pomodoro di mia mamma – è più una minestra. Lo circoscrivo a certi periodi della mia infanzia, poi è sparito dall’abituale menù per lasciare il posto a abbinamenti più raffinati, moderni. L’ho preparato anche per un’amica, ma non so se il sapore sia riconducibile all’originale che neanche ricordo più. Però è il piatto della nostalgia, di casa nonostante le tante turbolenze. Ma chi ha una famiglia perfetta?
Sono sempre in procinto di cucinarlo, ma poi perdo tutto, il senso e lo slancio. Allora quando nella mia immaginazione affondo il cucchiaio nel riso mi viene voglia solo di ripercorrere alcuni momenti, se una cosa mi viene bene, di proporla allo sfinimento e nel frattempo sperimentare, per non perdere il gusto del prima e trovare a leggere altri segni.
L’inverno, nonostante compia gli anni, non fa per me. È immobile, spesso mi ha rivelato cose tristi, cose per cui non aveva senso nemmeno provarci. Mi vedo sempre sulla mia bicicletta a correre verso la stazione, a prendere un treno direzione Milano. Sono appena le 7 del mattino, è buio fondo e non voglio più perseguire quel sogno. La luce è meglio cercarla altrove. Ma devo darmi una mossa.
Questo gennaio ho comprato una tazza con i fiori, delicatissimi e appena accennati.
*Da Che bella parola! di Nicola Edwards e Luisa Uribe, Emme edizioni.