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Le mie letture

Rigoni Stern e io

Dicembre 2016, mi capita un libretto di poche pagine, circa 40: Inverni lontani. Lo leggo in piedi, davanti alla finestra senza tener conto di mettermi comoda. Ne resto folgorata, appunto molti passaggi, decido che con i miei tempi vorrei leggere altro dell’autore, a me noto fino a quel momento solo per Il sergente nella neve.

Fuori c’è una giornata uggiosa, che non fa pensare al Natale, ma quasi si riconnette al racconto senza barocchismi. Gli inverni sono quelli lontani, appunto, del fronte e del dopoguerra, ma anche quelli familiari dei riti preparatori alla stagione più fredda. E infine, quelli della vecchiaia in cui si ascoltano i suoni del bosco e si consumano le letture a lume di candela. Ma sono soprattutto gli inverni della montagna di Mario Rigoni Stern.

Sarà perché è il primo, ma resta per ora il mio preferito.

Centellino i suoi libri, quasi mi concedo un regalo, ogni tanto busso alla sua porta e gli chiedo: «Mi racconti dove sei stato?». E mi spalanca il mondo chiaro dell’Altipiano di Asiago.

Ancora non ho affrontato i libri propriamente sulla guerra, per il timore di leggere crudeltà, anche se l’argomento che è un po’ ovunque, come in Inverni lontani. Quindi, ci giro intorno, è inizio con le sue storie più naturali.

Quanti pensano che sarebbe stato una meteora, un autore occasionale, si sono dovuti ricredere, in particolare Elio Vittorini che sulla fascetta al Sergente, scrive «non è uno scrittori per vocazione». Sì, un non è letterato in senso stretto, ma un autodidatta con una buona volontà, che legge fin da quando è bambino e, insieme alla madre prende in prestito i libri dalla biblioteca del paese. E proprio quel libro nasce dai suoi appunti fissati durante il Secondo conflitto mondiale, al dramma della ritirata di Russia, alla prigionia in un lager nazista per essersi rifiutato di andare ancora a combattere una guerra priva di senso. Il suo è un gesto fermo.  

E quando finalmente ritorna per fortuna «i due alberi c’erano ancora, c’erano la corte con il cancello e i gradini di pietra; c’era ancora il colore verde che aveva dato al cancello prima di partire».

La vita di Rigoni Stern è sparpagliata nei suoi libri, la quotidianità di Asiago, i boschi, la sapienza naturalistica, la sventura della guerra, persino quando i protagonisti sono animali, su tutti gli urogalli o altre umanità. Senza alcun dubbio è un attento osservatore e la puntualità nei suoi scritti fa sì che siano dei veri quaderni botanici e zoologici, una geografia di odori e esperienza. Arboreto salvatico è una collezione preziosa, come Il libro degli animali e Uomini, boschi e api.

«Osservare poi vuol dire vedere attivamente la natura: chi passeggia invece è remissivo e la subisce». È necessario acuire i sensi, si deve essere predisposti alla meraviglia.
Lo scrittore percepisce l’inesorabile perdita della selvatichezza, l’autenticità come valore primigenio, l’equilibrio, capace di autoregolarsi, spezzato.

Sembra che memorie belliche e racconti naturali seguano due strade differenti, invece si incontrano sempre, nelle parole di chi è al fronte, nelle metafore per evadere dagli orrori, negli accenti forti sulla tutela ambientale, nei suoi racconti di caccia. Li trovo disseminati in Aspettando l’alba, nel Bosco degli urogalli. Effettivamente le mulattiere che segue sono ancora invase dai ferrami delle battaglie e dalle illusioni di un futuro urbano che ha spopolato i paesi. Lungo i sentieri i «pensieri amari» si infittiscono.

«Sono un uomo di montagna», lo afferma in tante occasioni, le elenca e le percorre, da quelle più vicine – Cima Vezzena, Monte Zebio, Cima Portule, Cima XII, la più alta dell’Altipiano e dalla quale si scorgono la Bernina, Vetta d’Italia, l’Adriatico – fino al San Bernardo, alle Dolomiti che riguardano la guerra però. Senza dimenticare il sentiero che porta al Lago Miserin, che avrebbe voluto percorrere insieme a Primo Levi. Credo che sia il primo a dare risalto letterario alle vette, alla natura.

Le foglie degli aceri montani hanno preso la luce dall’ambra e la brezza del mattino le stacca dai rami adagiandole al suolo. I sorbi dalle rosse e lucenti bacche sono irresistibile richiamo alle cesene e alle tordele; i galli forcelli si radunano sui solivi nelle radure tra i mughi, ma quando il tempo minaccerà neve, allora, saranno lesti a cercare rifugio nelle buse riparate dal vento. I prati attorno alle contrade e i pascoli si sono adornati con gli ultimi fiori: i colchici autunnali dai colori azzurri e violetti. Nel bosco gli ultimi funghi sono i cortinari viola e gialli, l’agarico violetto, l’agarico nebbioso. Qualche raro porcino cresciuto con l’ultima lunazione d’autunno è golosamente ricercato dalle arvicole e dagli scoiattoli. Il sottobosco emana odori di legni marcescenti, di muschio, di funghi, di bacche appassite.

L’autunno trova in Stagioni, l’ultimo suo lavoro, la fine di un ciclo, il momento in cui «il bosco si fa leggere con chiarezza».

L’espansione dei profumi, la tavolozza dei colori che abbandona la brillantezza uniforme dell’estate, quando i percorsi si fanno silenziosi e la natura riprende i propri ritmi: «È il momento magico del bosco, dei silenzi, delle albe nebbiose, dei colori smorzati verde-bruno-giallo in tante tonalità che a tratti una luce misteriosa rende evidenti nel sottobosco pre-invernale». E per rompere il tedio domenicale si inventano storie animate dalle marionette, si partecipa alle battute di caccia, si contemplano le fredde notti stellate.  

Dicevo che in Stagioni la corrispondenza tra vita e natura trova compimento, quasi si tirano le somme.

Così una dolce malinconia ti prende la melanconia dell’autunno e sotto un larice all’asciutto, cerchi anche tu un luogo dove accucciarti per meditare sulle stagioni della tua vita, e sull’esistenza che corre via con i ricordi che diventano preghiera di ringraziamento per la vita che hai avuto e per i doni che la natura ti elargisce.

Una mattina di dicembre vedrai il cielo uniformemente grigio. le montagne dentro le nuvole, i boschi più scuri e, da una catasta di legna, schizzar via lo scricciolo. Il suo campanellino d’argento ti dirà prossima la prima neve.

Non voglio pensare a una fine, ma un ciclo che si rinnova proprio in questa stagione, quando il silenzio acquista una qualità preziosa e meditata.

L’autunno è la tua stagione del cuore, quando il trambusto estivo, seppur breve, non permette di ascoltare la natura, anzi la impaurisce, la infastidisce. Allora, solo quando tutti hanno lasciato i sentieri, «i tuoi passi si confondono con il rumore delle gocce che cadono sugli alberi e poi nel sottobosco con un rumore più forte».

E tu sei nato l’1 novembre 1921.

Bibliografia

Buona parte della bibliografia di Mario Rigoni Stern è pubblicata da Einaudi. Per un quadro più puntuale si può tenere presente il Meridiano, Storie dell’Altipiano a cura di Eraldo Affinati

Rigoni Stern. Un ritratto di Giuseppe Mendicino (Laterza)

Rigoni Stern di Camilla Trainini e Chiara Pintonato (BeccoGiallo)

Approfondimenti

I luoghi di Mario Rigoni Stern

Sciarada – Il circolo delle parole e Italiani con Paolo Mieli su Raiplay

Primo Levi e Mario Rigoni Stern. Una lunga storia di amicizia di Giuseppe Mendicino