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Fuori dai libri

Parole semiserie della quarantena

Ciò che leggerete è un piccolo dizionario semiserio di alcuni termini che abbiamo più ascoltato, appuntato, rincorso in questo periodo di quarantena, che ne hanno costruito la quotidianità. Immagini vere e proprie, corredate di elementi frivoli o profondi. In ordine sparso, così come mi sono venute in mente. Per ragioni “professionali” parto dai libri.

Librerie: un collegamento non può dirsi tale se dietro all’interlocutore non sbucano libri e scaffali – dalle polverose enciclopedie, alle collezioni di Topolino. Chi abbia inaugurato il trend non è dato saperlo, o per lo meno non ce ne siamo accorti. Talvolta sono sostituiti da fortunati giardini e terrazzi, ma rappresentano una percentuale così esigua che non scaturisce alcun pericolo per l’immagine degli intellettuali.
Per i talk show televisivi così come per gli incontri culturali, politici che siano si prevedono tempi lunghi, quindi se non hai una libreria procuratene una.

 

Autocertificazione: la versione de moduli, potrebbe essere il titolo di un libro del catalogo Adelphi che fa il verso al Barney Mordecai Richler. Mentre Conte parla alla nazione la stampante è accesa.

Tempo: la sensazione di essere in un perenne finesettimana. Al di là dei timori e degli obblighi, stare a casa è stata un’occasione per leggere, ordinare, stare con i figli, finché non sono sopraggiunti la noia, l’insonnia, i brutti sogni… Ne sono portatrice insana.

Diario: c’è chi ne ha tenuto uno con costanza, virtuale o cartaceo, riflessivo o attivo, pieno di consigli o semplicemente per ricordare questi giorni.

Pigiama/tuta: è la tenuta da casa, sinonimo di comodità, però senza capire quando iniziava e finiva la giornata. Mettere il naso fuori neanche a parlarne se non per «comprovate esigenze». Per le video chiamate di lavoro sostituito da una camicia e un filo di trucco. Ma il trucco è sempre sotto il tavolo.

Smart uorchi (working): il lavoro da casa. Dopo una delle mille conferenze del premier Giuseppe Conte, precisamente il 21 marzo, siamo arrivati a capire la corretta pronuncia. Abbiamo così scoperto che chi fa smart uorchi un lavoro ce l’ha ancora. Tuttavia il termine esatto è telelavoro, l’inglese umilia, perché si sta seduti 8 ore alla scrivania e le aziende non pagano gli straordinari né il conto delle bollette.

Ricette: ad un certo punto dagli scaffali dei supermercati è sparito il lievito e la disperazione ha assalito tutti, nelle prime settimane quando non tutte le panetterie erano in piena attività e la fila era molto lunga. Ecco tutorial per prepararlo in casa, soluzioni alternative con bicarbonato e non so cos’altro per rendere lieti i sabati fatti di pizza. Senza dimenticare la pasta e sperimentazioni vari.

Dirette social: apri Facebook, Instagram a qualsiasi ora del giorno ed è tuttora un proliferare di gente che discute non so di cosa. Ne non ho mai fatte nemmeno in tempi normali per riservatezza, non mi sarei contraddetta in queste settimane per occupare un posto. Faccio un’eccezione per gli esperti, scienziati, intellettuali, animatori per bambini. Onestamente già si sta troppo sul cellulare, anche quando si prenda la mezz’ora d’aria vedo zombie che si aggirano senza staccare la faccia dallo schermo.

Sanificare: neanche l’alcol si trova persino nelle farmacie che hanno i loro grattacapi con mascherine, prezzi suggeriti e speculazioni. Arieggiare gli ambienti e poi strofinare qualsiasi cosa con il disinfettante. Le mani chiedono pietà.

La citazione è estratta dalle Lezioni americane di Italo Calvino, Mondadori

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