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Fuori dai libri Le mie letture

Playlist di aprile, dolce dormire

Se dovessi descrivere questo aprile con un termine direi sbadigli. Per me è un evento pari a uno straordinario, visto che non ho mai sofferto del cambio primaverile. Avrei voluto solo dormire, persino in mezzo alla strada. Uso il passato con la speranza che non perduri ancora. E io non sono una dormigliona.

Nota a margine: Ho inaugurato la stagione dei picnic a Pasquetta, in collina, in un posto isolato, così verde e sereno. Altro alle vivande, avevo una tovaglia a quadri che in origine era un lenzuolo (potere del riciclo e di vedere gli oggetti da un’altra prospettiva). Nonostante il vento, è stata una piacevole giornata.

I libri

A meno che non ci siano sorprese, posso dire che della collezione Piccola guida il volume dedicato ai fiori selvatici (trad. di Francesca La Rosa, Nomos edizioni) è il mio preferito. Sono quaranta i fiori spontanei catalogati da tante latitudini. Per esempio il colchino d’autunno è detto anche signora nuda perché le foglie compaiono dopo la fioritura, il dente di leone ha un ricco corredo simbolico, il ranuncolo è quasi “magico, la pratolina è niente di meno imparentata con il carciofo.

Chi ha dimestichezza con le illustrazioni di Tom Ford sa che coglie le peculiarità per individuare i fiori. Alison Davies, che ha curato i testi, non manca di snelle schede di presentazioni aggiungendo curiosità e storie che in molti casi appartengono al folclore popolare.

Pratico, letteralmente tascabile, è il volume che ci si può portare durante le esplorazioni nei boschi, le camminate lungo i prati incolti ai confini con la città o in campagna. È questo il suo periodo.

La casa nella brughiera (trad. di Flavia Barbera, Edizioni Croce) è lontanissimo dai miei riferimenti, l’ho scelto per il titolo. Sì, Elizabeth Gaskell è l’autrice di Nord e Sud, Mogli e figlie.

Il volume rientra nella moda di metà ottocento: l’editore Chapman and Hall invita Gaskell con insistenza a scrivere un Christmas book, seguendo la fortunata scia inaugurata da Charles Dickens. È un libro su commissione a tutti gli effetti. La stessa autrice non è convinta fino alla fine, neppur di confezionare una storia natalizia. Infatti, dell’atmosfera dicembrina non ha nulla, il Natale è menzionato quasi come datazione, un superficiale riferimento. Ed è un sollievo per me, perché altrimenti sarebbe stato leggerlo fuori tempo.

Gaskell si allontana dal suo universo per approdare alla classe borghese, prendendo in considerazione due famiglie, di cui una arricchita. Il contesto è Combehurst, un paese inesistente, ma utile per inoltrare la storia nella natura inglese, nella brughiera appunto. 

Il gioco è dato dalle contrapposizioni di vedute e gesti tra le due famiglie, quella di Mr Buxton con Frank e Erminia e quella di Mrs Browne con Edward e Maggie.

Proprio quest’ultima, la figura centrale, apre in qualche modo il dibattito sul ruolo della donna nella società e nella dimensione domestica nel periodo vittoriano, visione sostenuta in primis dalla tagliente madre di lei.

Passato in sordina, criticato all’uscita pur avendo degli estimatori, perché si allontana dai suoi romanzi sociali resta una storia edificante.

Il consiglio è di leggere solo alla fine l’introduzione di Raffaella Antonucci perché rivela troppi passaggi.

Può un libro raccontare un sisma senza essere scontato? Sì.

In Rombo, Esther Kinsky (trad. di Silvia Albesano, Iperborea) esamina il terremoto che il 6 maggio del 1976 ha colpito il Friuli Venezia Giulia, in Val Venzonese, con epicentro il Monte San Simone, in cui dimora il mostro Orcolat. Magnitudo 6,4 della scala Richter. Morti più di 900 e migliaia di sfollati.

«In quella mattina di inizio maggio c’è silenzio sui pendii, nella valle bianca di pietra calcarea e verde di faggi e arbusti di nocciolo, grigio-argentea di ulivi lungo le rive del fiume». Niente faceva presagire alla catastrofe serale.

Confesso che mi ha disarmata, credevo di leggere una struttura canonica invece diventa tutto rarefatto pur essendo molto ancorato sugli avvenimenti; poi ho compreso il senso, la chiave. La scrittura è breve, spezzata ma nel finale si fa ricca di subordinate, prende una piega diversa, in un miscuglio di reportage, poesia e narrazione. Lo sguardo indugia moltissimo sul paesaggio, lo racconta in tutti i dettagli, elencandoli, in qualche modo per rintracciare l’origine del rombo e costituire una correlazione naturale con vite e oggetti. Le rocce e fiori, il Tagliamento e il Fella, il Canin. A ribadire ciò si infilano superstizioni e leggende, premonizioni che spiegano, secondo la coscienza popolare, più della scienza.

E poi si apre alla polifonia – Lina, Toni, Adelmo, Mara, Olga, Gigi, Silvia – che fissa sulla carta le sensazioni di incredulità, spavento, confusione, il prima, il durante e il dopo. Malta e calce nella bocca e nelle narici. «Perché devo ricordare? Perché non posso dimenticarmi di tutto?».

In seguito, tutti parleranno del rumore. Del rombo. Con cui è iniziato. […] Quel rumore si è iscritto nella memoria di ciascuno, sotto nomi diversi. Sibilo, ronzio, brontolio, sussurro, tuono, strepitio, fruscio, stridore, borbottio, fischio, rimbombo, boato.

C’è tutto un mondo così distante dalle città, dal mare, così remoto di storia e arretratezza persino nei legami familiari.

Cose che restano, cose che si perdono.

Le curiosità

Selfie in versione Barbie

Beatrix Potter, una piccola galleria

Ecologica

La giornata della terra è stata celebrata il 22 aprile, ma dovremmo ricordarcene tutti i santi giorni.

Il film

Non conosci Papicha di Mounia Meddour (2020)