In un epoca in cui fioriscono migliaia di corsi di scrittura, si potrebbe pensare soprattutto a un corso sulla lettura. E lo cantano anche Gazzè-Silvestri-Fabi: «Chi vuol scrivere impari prima a leggere».
Leggere un romanzo è un’arte difficile e complessa. Occorre essere capaci non solo di grande sensibilità, ma anche di grande fervore nell’immaginazione per riuscire a sfruttare al massimo quello che il romanziere – il grande artista – ci dà.
Il lettore comune legge per diletto, trovandovi qualche spunto riflessione forse traballante dovuto alla scarsa cultura: un ritratto fulminante e cinico che mi ha un po’ irritata. Ma si che Virginia è sempre stata un tantino sopra le righe. Allora, come leggere un libro? L’unico consiglio è di non accettare consigli, seguire il proprio istinto, senza avere aspettative o preconcetti, tanto meno crearsi dei limiti. La lettura è un atto soggettivo e attento. L’approccio alla lettura è meno carico di pregiudizi al contrario dei critici – contro i quali la Woolf si scaglia nei due saggi successivi –, che non impedisce di avere un’opinione finale chiara.
Un libro deve essere letto nella sua interezza, in modo da fugare o consolidare le impressioni iniziali: i particolari si ricompongono e contribuiscono alla comprensione totale, a questo punto «il nostro atteggiamento è cambiato: non siamo più gli amici dello scrittore», bensì i suoi giudici, senza peccare di indulgenza o severità.
Per quanto riguarda la produzione contemporanea i critici concordano sempre sul vecchio, hanno scarsa fiducia del nuovo. Ecco, perché è così importante il ruolo del lettore. Al critico si chiede equità per decretare la buona e la pessima scrittura perché il lettore comune non sarebbe in grado di confrontarsi con tutta la letteratura. «Tra noi e i nostri precedessori esiste una separazione: le differenze balzano in primo piano rispetto alle somiglianze», appellarsi al principio cardine del passato è motivo di insicurezza, una facile scappatoia per non apprezzare il presente. Il critico deve giudicare con imparzialità, «scrutare l’orizzonte; vedere il passato in rapporto al futuro; e così preparare la strada per i capolavori a venire». La solidità del passato non può intralciare il lavoro di scrittori e studiosi, è un confronto, un caposaldo ma non un limite. Al pubblico non spetteranno le glorie e i fardelli dei critici, ma la sua opinione può essere così rilevante da influenzare e migliorare le ulteriori opere di un autore. Questa è la nostra responsabilità nei confronti della letteratura.
Virginia Woolf ci invita a non focalizzarci su un singolo genere letterario ma di scoprire la forza e l’immediatezza della poesia, diventare voyeur attraverso diari e lettere, affrontare persino i libri-spazzatura traendone qualche giovamento creativo che non necessariamente abbia un fine letterario. Perché la lettura non è una questione di genere ma di qualità. Un libro ti arricchisce, ti permette di visitare case, ammirare giardini lussureggianti, sedersi al lume di candela, suonare campanelli e ritornare al presente: leggere per soddisfare la nostra curiosità.
A volte ho sognato che all’alba del Giorno del Giudizio, quando i grandi conquistatori e avvocati saliranno in cielo per ricevere i loro premi – le corone, gli allori, i nomi incisi in maniera indelebile su marmi imperituri – l’Onnipotente, rivolgendosi a Pietro, dirà, non senza una certa invidia nel vederci arrivare con i nostri libri sotto braccio: ‘Senti, questi non hanno bisogno di premi. Non abbiamo da dirgli: hanno amato la lettura’.