Non saprei inquadrare marzo, se non facendo fagotto e gettarlo nel cestino. Un mese che è stato pieno per la mia vita privata, ma senza dilungarmi in particolari poco interessanti. Ci metto una x, una riga e passo direttamente a quei pochi titoli che ho letto.
I libri
Come al solito, i numeri di The passenger magazine (Iperborea) mi incuriosiscono molto, seppur alcuni siano più demoralizzanti di altri. Irlanda non fa sconti.
Non ci sono né trifogli, né Guinness, né San Patrizio che tengano.
Per l’isola dai promontori imponenti così frastagliati che non è possibile determinare esattamente i chilometri di costa, acque e venti violenti sono stati lo scenario di Games of trones, il cui paesaggio è caratterizzato, inoltre da millenni, dalla torba, trainando i settori economici e sociali.
Le Irlande, così bisognerebbe definirle, sono state pesantemente condizionate dai governi di estrazione religiosa, che hanno perseguito donne, bambini (attraverso anche le durissime Magdalene laundries e industrial schools), le comunità Lgbtqia+; dalla guerra mai sopita tra protestanti e cattolici. Senza dimenticare il legame con il Regno Unito e l’UE. Gli spiragli di cambiamento ci sono attraverso la partecipazione attiva dei cittadini, dei referendum che hanno ribaltato gli scenari.
Colum McCann, scrittore dublinese, registra un percorso sentimentale dopo decenni trascorsi negli Stati Uniti, cita Brodsky: «non puoi tornare nel paese che non esiste più». E continua, «in un certo senso ci torniamo attraverso le nostre storie e la nostra capacità di raccontarle».
Sono contenta che La Nuova Frontiera abbia riproposto il romanzo d’esordio di Guadalupe Nettel, già presente nel catalogo di un altro editore italiano, che sia questa casa editrice a curare la sua produzione per non vederla sparire nel mare magnum delle uscite.
Nel Corpo in cui sono nata (trad. di Federica Niola), il cui titolo si ispira ai versi di Song di Allen Ginsberg, l’infanzia è il punto focale. E non è un caso se uso questi termini, in quanto la protagonista osserva il mondo con il suo occhio ciclopico e lo traduce in un romanzo sulla propria vita.
Non manca una famiglia non convenzionale negli anni Settanta a Città del Messico, che si sgretola, in mezzo le ultime briciole di innocenza e ingenuità,
poi Aix en Provence e ritorno.
Il fatto è un difetto oculare, che la fa percepire come un Gregor Samsa, è il motore che riavvolge il nastro, dopo molti anni, durante gli appuntamenti con la dottoressa Sazlavski. Questo soliloquio registra fasi ascendenti e discendenti, un continuo esercizio di acclimatamento per un liberatorio riconoscimento:
Finalmente, dopo un lungo periplo, mi ero decisa ad abitare il corpo in cui ero nata, con tutte le sue particolarità. In fin dei conti era l’unica cosa che mi apparteneva e mi vincolava in modo tangibile al mondo, e insieme mi consentiva di distinguermene.
Come accade in Guadalupe Nettel, le categorie decadono: la costruzione romanzesca si lega all’autobiografia, con stile grottesco, tragicomico e piacevole per definire il limite sottile tra verità/verosimiglianza, accettazione e differenza. In queste pagine si trovano i primi tratti che caratterizzeranno la sua futura cifra stilistica.
Stranamente ho tra le mani un romanzo americano, quello di Sarah Orne Jewett, Deephaven (trad. di Livio Crescenzi e Tonina Giuliani, Mattioli 1885). Ogni tanto mi lascio incuriosire da ciò che è distante da me, io che preferisco la letteratura europea.
Helen, voce narrante, e Kate lasciano Boston, per trovare rifugio e silenzio nell’abitazione della zia di Kate, scomparsa da poco.
Deephaven è un luogo in cui sembra sempre pomeriggio, il racconto di un’estate trascorsa insieme, nel villaggio che dà il titolo al libro. Il tempo sembra fermarsi, in cui sono escluse tutte le attività manifatturiere e industriali, tranne le cose semplici e la pesca nella quale entrambe si ci cimentano.
Era come se tutti gli orologi di Deephaven – tutti i suoi abitanti con loro – si fossero fermati anni prima, e la gente avesse continuato a fare l’ultima settimana della propria esistenza priva di ambizioni.
Un faro apre a un paesaggio marino, una finestra di lillà e salsedine.
A volte ci comportavamo come se avessimo avuto tra i sei e i sette anni, altre volte ci sentivamo irrimediabilmente adulte, come se portassimo un pesante fardello fatto di preoccupazioni e doveri.
La quotidianità si prefigge ricca di incontri, parole, spazi naturali e sconfinati, ma soprattutto il legame tra le due, fatto di complicità.
Siamo talmente buone amiche che spesso ce ne rimanevamo in silenzio a lungo, mentre dei semplici conoscenti si sentono obbligati a parlare e a cercare d’intrattenersi a vicenda.
Deephaven mette in tavola, seppur non esplicitamente, il Boston marriage, la tollerata convivenza tra donne, che prende le mosse dalle Dame di Llangollen, ossia Lady Eleanor Butler e Miss Sarah Ponsonby, nel 1780 tra le prime a rivelare apertamente la loro relazione.
La scrittura è raffinata, ottocentesca, senza impeti, racchiude un piccolo mondo.
Le curiosità
Ecologica
Spostarsi a piedi, in bicicletta soprattutto, evitare l’automobile: è un consiglio che ritorna sempre, ancor di più in questo periodo se non vogliamo lasciare un patrimonio al benzinaio e alle multinazionali petrolifere che allegramente speculano.
La canzone
Electric love di Børns (2015)
Il film
Petite maman di Céline Sciamma (2021)