31 dicembre cala la serranda dell’anno, fuori l’aria frizzante dell’inverno, l’euforia delle luci e dei brindisi. Tra le bollicine le speranze per i prossimi 365 giorni.
Sono sempre restia a fare bilanci, a meno che non incidano con gravità sulla mia vita, perché proprio non comprendo il senso di ulteriore frustrazione. Alle promesse ci credo. In passato sono riuscita a manternerle, tranne in un momento di crollo emotivo che mi ha attanagliata qualche mese fa. In questo caso sono venuta meno alle mie parole, a mia discolpa dico che ho fatto un buon lavoro su me stessa. Dimentico quei minuti.
Se poi ci sono piccole felicità è bene assaporarle. Posso scrivere sul quaderno del 2018:
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Nelle moderne festività invernali il Natale è stato molto influenzato dai riti nordici (persino religiosi) più che da quelli cattolici: in particolare confluiscono i simboli del solstizio d’inverno e certi e del paganesimo. L’attesa dei regali, le luci, i profumi pungenti e golosi, la cura per gli affetti. Uno spirito in qualche modo rispolverato da una certa pratica hygge.
Il Natale è stato oggetto di narrazione, dalle fiabe ai saggi, tradizione di certa letteratura soprattutto inglese. Ma dal Nord, che alimenta il nostro immaginario, tre scrittrici scandinave, Tove Jansson, Astrid Lindgren e Selma Lagerlöf, maestre del racconto breve, hanno dedicato molte righe alle atmosfere festive – che siano modeste, lungimiranti o strampalate – sono comunque dense dall’aura magica di questi giorni.