Guardando le foto nella galleria del telefono, ne ho ritrovato una di fine agosto: è uno scatto notturno, di un cortile, ci sono delle persone sedute in procinto di ascoltare un concerto; non è una foto bella, non ha nulla di memorabile. Invece per me lo è. Perché è accaduto qualcosa quella sera, quando mi sono resaconto, solo nei giorni seguenti, che aveva che fare con i desideri inesaudibili.
Si sono messe in movimento sensazioni stranianti, luccicanti, ingovernabili. Ho sviscerato tutto, dall’inizio, senza riuscire a trovare una soluzione razionale, consapevole che non esiste. Quindi mi arrovello, tento di riscrivere parti di me, cancellare pensieri, ragionare, ricominciare tutto daccapo. Ci riuscirò? No. Tuttavia, questa novità mi ha dato nuova linfa, ho scoperto altre versioni di me, che avevo dimenticato.
Penso che i desideri non nascono all’improvviso, scintillano in cieli di mancanze nascoste fino a poco tempo prima. A volte non bisogna darci peso, altre sì.
I libri
In quarta di copertina leggo questo passaggio: «questo libro è per chi salta ogni ostacolo come in sella a un destriero, e continua a galoppare verso i propri desideri». È il marchio di fabbrica di NN, ne contraddistingue i suoi libri. Dunque, ho trovato una corrispondenza almeno terminologica in ciò che ho scritto sopra. E non credo io di andare incontro al destino con spensieratezza.
Anche nell’ultimo capitolo dell’Autobiografia in movimento, Bene immobile, di Deborah Levy (trad. di Gioia Guerzoni) si parla di desiderio. È deducibile dal titolo che si riferisca alla casa, principio dell’umanità, con tutto il suo corredo simbolico.
Levy non ne ha una di proprietà, allestisce in tutte quelle che occupa angoli che possano rispecchiare o avvicinarsi ai suoi desideri, appunto. Da Londra a Parigi, alla Grecia, si muove per riempire il momento. «Il bene immobile è un autoritratto e un ritratto di classe», che riflette il bisogno di “sentirsi a casa” perimetrandolo con la solidità delle mura e degli oggetti.
Levy ti fa sentire comoda e scomoda al tempo stesso, riporta a galla quanto in secoli di storia femminile ci trasciniamo dietro, con il nostro ruolo sociale, quello che ci è stato affidato ma non che ci siamo prese, continuamente messo in discussione, perché è sempre legato alla bellezza e alla sottrazione del sé.
Cominciai a chiedermi quali proprietà – io e tutte le donne che avevano represso i loro desideri o erano riscritte (come ad esempio le dee) – avremmo posseduto verso la fine della vita. […] Se, come le grandi dee tormentate, eravamo troppo potenti per i padri e i fratelli del patriarcato, come poteva la nostra potenza repressa manifestarsi di punto in bianco?
È difficile etichettare questo libro, apparentemente autoreferenziale, invece racconta gli sguardi femminili, la costante ricerca di affermazione, attraverso molti riferimenti culturali, in primis le eterne e sacre signore della scrittura e del pensiero. Levy ribalta la prospettiva dell’io per lanciarti addosso una verità collettiva.
Aspettavo Nora Krug come si aspetta il Natale per tanti. Perché il primo incontro è stato felicissimo, denso e liberatorio. Adesso è tornata con Diari di guerra. Due racconti per immagini dall’Ucraina e dalla Russia (trad. di Giovanna Granato, Einaudi).
Ho anche avuto la pessima idea di andare a leggere le recensioni, non proprio benevole, più che altro per il punto di vista adottato. Non mi sono lasciata influenzare più del dovuto, consapevole che questa graphic novel non sarebbe mai stata quella cosa straordinaria che è Heimat.
Krug affida alle sue mani le immagini e la parola a quattro occhi, quelli di K. e D., rispettivamente una giornalista ucraina e un artista russo che collabora con la comunità lgbtqia+ e contrario alla guerra. Ogni settimana e per un anno, dall’inizio del conflitto russo-ucraino, i due le inviano i loro resoconti fatti di quotidianità, timori, spostamenti, atrocità, fughe, soprusi. Testi brevi, come solo l’urgenza del momento è in grado di sintetizzare.
L’originalità non sta nel lavoro grafico né tanto nel testo, quanto per aver affidato la parola a due persone compromesse in questa situazione.
Krug non conduce alcuna indagine, può assumere dunque la prospettiva che ritiene opportuna senza doversi giustificare, convoglia sensazioni di chi subisce e contrario al conflitto. A mio avviso, è l’unica narrazione possibile, non ce ne sono altre.
Ti si rimpicciolisce il cuore, quando K. scrive:
Ieri mio figlio maggiore si è messo in testa una copriteiera che lo faceva sembrare un mago e ci ha chiesto di esprimere un desiderio. Vorrei che finisse la guerra, ho detto io. Ha risposto: – Il tuo desiderio sarà esaudito entro pochi giorni, promesso.
Le curiosità
Esite un Piccolo Museo dei diari e qualcuno viene pubblicato
Le case sulle copertine dei dischi
Ecologica
Ho rinnovato delle orribili Timberland, che possiedo da ben otto anni. Sono indistruttibili. Fatto sta che le ho portate dal calzolaio per dare una bella passata di colore: e così dal quel terribile ocra originale, oltretutto sbiadito, sono diventate un bel marrone caldo. Ho cambiato i lacci, scegliendo un ottanio e adesso come nuove.
Il film
La sala professori di lker Çatak (2024)