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Le mie letture

Playlist di ottobre, solo boschi

Per inoltrarmi nei boschi ottobre è il periodo che preferisco, specialmente entro la metà del mese quando il passaggio stagionale si rivela a poco a poco, ma decisamente più netto rispetto alla città.

Così mi inerpico per un sentiero poco frequentato, zaino sulle spalle, il tè caldo nella borraccia. Filtra un sole tiepido, l’aria è poco frizzante. Si sale, si osserva, penso ai funghi che non mangerò. La cima è più su, ricordo di esserci stata in estate, so cosa aspettarmi, almeno gli elementi, la loro posizione. Ma non i colori. Quel che mi appare è un dipinto di ruggine, giallo, oliva e il blu avio, profondo, di due laghi. Respiro, osservo, cerco di memorizzare. Un regalo per i mesi prossimi.

Lassù è apparso l’autunno.

I libri

Ho letto due titoli sui boschi, con toni diversi. Due donne raccontano una l’esercizio della meraviglia, l’altra la necessità della salvaguardia della natura. Voci che provengono dal nord, seppur da latitudini diverse.

Lo tenevo d’occhio da marzo, dall’uscita dunque, però l’ho letto solo a inizio ottobre perché adesso è stato il suo momento. Mario Rigoni Stern sostiene che «nell’autunno che il bosco si fa leggere con chiarezza», con i suoi colori e suoni più cristallini: motivo così la mia attesa.

I boschi e le stagioni raccoglie quattro articoli di Lucy Maud Montgomery (a cura di Enrico De Luca, Lindau) pubblicati tra maggio e dicembre del 1911 su «The Canadian Magazine». Mi ha sorpresa trovarla in queste veste, seppur nella sua opera più nota, il ciclo di Anne di Tetti verdi, si lascia più volte trasportare da digressioni naturalistiche.

Una passeggiata, meglio definirla, un’immersione nella natura selvatica tutta volta al presente, al resoconto diretto, senza percepire la conseguente elaborazione. Seguiamo l’autrice nelle sue peregrinazioni, pronta a cogliere dettagli, con un acuto spirito d’osservazione, le sorprendenti e cicliche metamorfosi stagionali: le campanule, i mirtilli, il fogliame, i silenzi.

Montgomery invita a prendere sentieri secondari, che «conducono al cuore dei boschi, e non dobbiamo mancare di seguirli se vogliamo conoscere le foreste ed esserne conosciuti»: solo così siamo in grado di rapportarci con la natura con un sincero spirito di conoscenza.

Dunque questi boschi come sono? A primavera «hanno un abbigliamento di fiori, di delicate e spirituali cose, simili all’anima della natura selvaggia»; in estate «hanno un fascino più sensuale»; l’autunno «è il carnevale dell’anno prima che giungano i cupi giorni quaresimali delle valli spoglie e delle nebbie potenziali»; in inverno sono improfanabili e mistici.

Mi ricorda la prosa di Thoreau, in particolare Passeggiata d’inverno, proprio come quel posizionarsi nel contesto, mantenere vigile lo sguardo e il già citato Rigoni Stern di Stagioni.

Un tempo il lupo lo chiamavamo gråben, zampagrigia, poiché non osavano pronunciare il suo nome, che era ulv. […]

Il silenzioso, pensai. Poiché lo chiamavamo anche così, un tempo. E anche lo sfuggente, avevo sentito dire da mia nonna. Adesso con le sue zampe lunghe e le unghie robuste era scivolato dentro il bosco, scomparendo nelle sue lande.

Ulf lo avvista al mattino del primo dell’anno, il giorno precedente il suo settantesimo compleanno. Un esemplare solitario e subito lo ribattezza Zampalunga. Pensa più volte a quella che potrebbe essere una visione, quasi da ossessionarlo.

Essere lupo di Kerstin Ekman (trad. di Carmen Giorgetti Cima, Iperborea) ci porta nelle foreste svedesi, evocando inconsapevolmente tutto un misticismo intorno a questo animale. Dicevo foreste, respiro e slancio di quel posto sperduto che è lo Hälsingland, che subisce i cambiamenti climatici.

Buona parte della narrazione è un continuo raffronto tra passato e presente del lavoro e dei pensieri di Ulf, un’evoluzione che lo lega sempre più alla natura a lui più prossima. La rilettura dei suoi diari di caccia è la definitiva presa di distanza e da una metamorfosi così impensabile e magica al tempo stesso che gli farà comprendere la vera selvatichezza.

Il fulcro della storia è il fragile equilibrio naturale messo a dura prova dall’arroganza umana che si prefigura anche come scontro generazionale. Non uso a caso questo termine, perché si tratta di spietatezza e menzogna per occultare un fatto riprovevole, quel piccolo giallo che si dispiegherà nella narrazione.

È un libro un po’ lontano dalle mie orbite, ci sono passaggi crudi e fortunatamente non dettagliati, non perciò poco interessante, apprezzando soprattutto la coerenza, l’intreccio di lingua e natura.

Le curiosità

Virginia Woof e Bloomsbury in mostra

Tè o caffè?

Ecologica

Qualche consiglio per risparmiare sulle bollette di energia e gas, comportamenti che aiutano il pianeta. A mio parere, la guerra e le speculazioni hanno accelerato conseguenze e inasprimenti. Sappiamo bene che le risorse non sono illimitate, anzi ormai sono ai minimi termini.

Il film

Tramonto di László Nemes (2018)